STORIE DI VITA - Mondo Voc ottobre 2011 Torna al sommario
La meta a cui tendere
La storia di Viviana, una ragazza di venticinque anni, trentina, laureata in economia aziendale che ad un certo punto della sua vita ha scelto di dedicarsi agli altri e di partire per il Benin dove lavora per migliorare la vita dei più poveri.
di Michele Pignatale
Può capitare che un libro con tematiche sociali può avviare una riflessione profonda sugli stili di vita da adottare in questo tempo difficile, tale da comportare anche scelte particolarmente significative. Viviamo un tempo di emarginazione giovanile, rischiamo di perdere una intera generazione che purtroppo non lascerà nessun segno del suo passaggio nella storia del nostro Paese.
È come se avessimo deciso di saltare un fosso dove però al suo fondo troviamo i detriti di una generazione che la società degli adulti non ha voluto allevare alla responsabilità e alla partecipazione attiva per un rinnovamento profondo della realtà del nostro Paese.
Viviana è una ragazza di venticinque anni, trentina, laureata in economia aziendale e pur vivendo in un contesto armonicamente ben strutturato del suo Trentino, ha provato sulla propria pelle il senso di impotenza alle sue istanze negate di partecipazione, attraverso il mondo del lavoro. Inseritasi nel processo produttivo aziendale ha potuto sperimentare come la sola logica del profitto dell’inseguimento del consumatore, potesse sì assicurare il lavoro a scapito, però, molte volte della qualità della vita delle persone e della comunità tutta. Per chi è sensibile solo al denaro è chiaro che non sussiste il problema. Ma può capitare che ragionandoci sopra, aiutati da un buon libro, può rivoluzionare anche la propria vita.
Rivoluzionare il proprio pensiero
“Sappiamo che il mondo dell’economia non è fatto di santi e di filantropi – ci racconta Viviana – ma credo si possa fare molto perché possa aiutare una comunità a diventare migliore. Quando sono entrata nel mondo del lavoro, il mio unico interesse era guadagnare. Non esistevano altre ragioni, e questo derivava anche da una formazione aziendale tutta protesa chiaramente al raggiungimento del profitto. ‘Più si lavora, più si guadagna, più si mantiene il posto’ erano le parole ricorrenti della nostra azienda. Devo dire che alle volte certi ritornelli sembravano stressanti e finivi di vivere la tua giornata cercando di recuperare qualche lembo di te stessa. Non sempre ci riuscivi e cominciare un’altra giornata allo stesso modo era come accumulare tossine dentro. Ed io essendo nel ramo dirigenziale potevo ritenermi fortunata, ma se pensavo ai nostri operai doveva sembrare pazzesco una routine del genere”.
Poi capita di entrare in una libreria e in uno scaffale trovare un libro e sentirsi invitati, leggendo le sue pagine, a un profondo cambiamento.
“Il libro del sociologo polacco Zygmunt Bauman, Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi (Erickson editore) – continua a raccontare Viviana – è stato per me una scoperta tale da costringermi a rivedere alcuni criteri assimilati sui banchi universitari e in azienda. Infatti l’ho divorato subito e poi riletto con calma. Quale società si intende costruire? Si può sostenere una società di produttori. Produzione non solo né principalmente in senso merceologico. Produrre relazioni e legami solidi, valori non passeggeri, storie, amicizie, bellezza ed anche imprese economiche a servizio della comunità, per le quali il profitto sia importante, sì, purché in funzione della persona che resta al centro del processo produttivo. E poi ancora la riscoperta dell’etica. L’appendice del libro termina con queste parole che sembravano scritte apposta per me indicando la meta a cui tendere: A essere sinceri, non esiste alcuna buona ragione per la quale dovremmo essere responsabili dei nostri fratelli, prenderci cura di loro, essere morali; né in una società orientata al perseguimento dell’utile, i poveri e gli indolenti possono contare su prove razionali del loro diritto alla felicità. Ammettiamolo: non c’è nulla di ragionevole nell’assunzione di responsabilità, nel prendersi cura, nell’essere morali. L’etica ha solo se stessa a proprio sostegno: è meglio prendersi cura di qualcuno che lavarsene le mani, essere solidali con l’infelicità dell’altro piuttosto che esservi indifferenti e, in ultima istanza, è meglio essere morali, anche se questo non rende più ricchi gli individui e le imprese. È la decisione di assumersi le proprie responsabilità, di misurare la qualità della società in relazione alla qualità di suoi standard morali, ciò che oggi è più importante che mai sostenere. Ecco da queste parole sono partita per guardarmi intorno e allungare lo sguardo anche oltre i confini del mio territorio”.
La meta raggiunta
Dove ha portato Viviana questa riflessione? A farsi carico di una realtà particolare presente nel Benin in uno sforzo di cooperazione utile per la crescita di diversi villaggi per il raggiungimento di autosufficienza alimentare, istruzione, igiene, qualità della vita delle donne e dei bambini. Le sue conoscenze e le sue doti professionali messi al servizio di una realtà assetata di vita e di vita buona.
“Quando un amico di una ONG mi ha invitato a muso duro a mettere alla prova, quello che stavo assimilando dentro – conclude Viviana – sono stata presa da un senso di smarrimento. Si trattava di rischiare tutto per una meta che certamente rappresentava una sfida. E allora mi sono licenziata, ho approfondito il progetto che dovevo seguire e sono partita. Stando qui in Benin si sono affacciate altre riflessioni che mi hanno portato a riconsiderare il valore della fede incarnata nei problemi di ogni giorno facendosi carico delle persone che ti sono accanto che aspirano a vivere una vita degna. Oggi mi capita ascoltando le parole del Vangelo di individuare immediatamente la modalità di metterle in pratica e devo dire che non si sbaglia mai. Da questo punto di vista, ho voluto essere da pungolo anche per i miei amici italiani perché si pongano nell’ottica dell’impegno al servizio delle necessità della comunità e del suo bene per una buona qualità di vita per tutti”.
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