MEDIAEDUCATION - Mondo Voc febbraio 2011 Torna al sommario
"The social network": una storia che unisce e divide.
Il paradosso del social network
Quando gli amici li perdi. Lo racconta il recente film realizzato da David Fincher.
di Stella F.
Strano il pensiero di un social network che divida anziché collegare persone. Succede se si guarda all’aspetto lucrativo del mezzo e non alla sua funzione. Un giochino da 15 miliardi di dollari rispetto ai quali è difficile restare indifferenti. Molti pensano che chi lo ha inventato l’abbia fatto per passione, per gioco, per restare nella storia dell’informatica e delle comunicazioni. Magari all’inizio è stato così. Ma quando intorno al mezzo inizia ad esserci profumo di soldi, di tanti soldi, la passione o l’ambizione non contano più, conta solo il business.
Lo mette ben in evidenza un recente film “The social network” realizzato da David Fincher e vincitore di 4 Golden Globe, oltre ad essere candidato agli oscar con ben 8 nomination.
Un media che racconta di un altro media, mettendone in risalto aspetti che in genere sfuggono. Da un film sui social network ci si aspetterebbe l’apoteosi delle potenzialità, la dimostrazione degli effetti aggregatori che possiedono; al massimo dei pericoli che celano.
Qui invece non si parla dei rischi del mezzo né del suo valore aggiunto. Qui si accendono i riflettori su un aspetto ben più profondo e sottile, capace di mostrare il doppio della natura umana. Da un lato lo slancio verso la condivisione, dall’altro l’antitesi solipsista ed egotista.
"The social network" ripercorre la storia che ha dato vita al più popolare e diffuso social network al mondo: Facebook.
Mark Zuckerberg, giovane studente di Harvard, programma il sito che in breve diventerà il più cliccato non solo dell’Università migliore d’America, ma dell’intero pianeta.
Tutto inizia nella notte in cui Zuckerberg viene lasciato dalla ragazza. Fuori di sé, sviluppa un’applicazione che permette di mettere a confronto le studentesse del college e votare le preferite, al fine di ridicolizzarle e umiliarle. Il sito riscuote un successo inatteso ed è talmente cliccato da mandare in crash i server dell’Università, facendo sì che Mark Zuckerberg sia conosciuto come un genio della programmazione. È così che i gemelli Winklevoss decidono di contattarlo per parlagli e coinvolgerlo in un loro progetto “Harvard connection”, un mezzo per mettere in collegamento gli studenti del prestigioso ateneo americano. Cosa ha quest’idea in più rispetto a MySpace? Semplice, riguarda un mondo, quello di Harvard, a cui tutti ambiscono, che tutti invidiano, in cui tutti vorrebbero vivere, i cui studenti tutti vogliono conoscere. Zuckerberg però ascolta il progetto e sostanzialmente ruba l’idea, decidendo di svilupparla da solo, creando una società con il suo migliore amico.
Nasce così Facebook. Il link d’accesso fa velocemente il giro di tutti i computer di Harvard, poi di altre prestigiose università, fino a diventare un fenomeno di portata mondiale. La vicenda finiti ad un giudice perché i gemelli Winklevoss e il socio di Zuckerberg, intanto estromesso slealmente dalla società, intentano una causa per plagio. Alla fine Zuckerberg accetta una transazione e chiude la vicenda versando ai ricorrenti diversi milioni di dollari.
Quello che nel film si legge e che è interessante è questa duplice faccia del social network. Da un lato l’intuizione geniale, un’invenzione rivoluzionaria sul piano delle relazioni socio virtuali, che tira fuori il bisogno di unione e condivisione della natura umana. Dall’altro Facebook (ma anche le altre reti sociali) è anche un business, che tira fuori l’avidità e l’individualismo dell’essere umano. È insomma il paradosso che unisce e divide.