LETTERA CIRCOLARE SU ALCUNI ASPETTI PIÚ URGENTI DELLA FORMAZIONE SPIRITUALE NEI SEMINARI
Agli Ecc.mi Ordinari del luogo
La «Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis» - e, quindi, le diverse «Ratio» preparate dalle conferenze episcopali nazionali - hanno dato alla formazione spirituale nei seminari il posto che le conviene: il primo.
Numerosi indizi positivi, tuttavia, oggi inducono a pensare che la riflessione in questo settore può e deve essere opportunamente e utilmente approfondita; che gli animi sono pronti ad accogliere tale approfondimento e che ne possiamo attendere, con la grazia di Dio, grandi frutti.
Dopo aver rilevato i segni che ci incoraggiano in questo senso, la presente lettera circolare si propone - senza voler fare uno studio completo e sistematico - di richiamare l'attenzione dei seminari su alcuni punti particolari, sui quali sembra che attualmente si debba insistere. Si suggerirà, come conclusione, una iniziativa che potrebbe essere di grande rilevanza per l'avvenire del sacerdozio nella Chiesa.
I INTRODUZIONE
Segni provvidenziali
Il segno che vorremmo prima di tutto rilevare - perché impressiona maggiormente questo Sacro Dicastero - è costituito dalla qualità veramente eccezionale dei «Piani di azione per le vocazioni», di cui ci siamo permessi di domandare la preparazione agli Ecc.mi Vescovi, e che ci giungono con un ritmo insperato. Questi Piani manifestano, per la loro ispirazione spirituale, un tale clima di coraggiosa fede che sembra giunta l'ora propizia per iniziative che non risulteranno certo vane. Se i progetti diocesani fossero soltanto o principalmente la testimonianza di una tecnica ingegnosa, non giustificherebbero questa circolare; ma il posto riservato alla preghiera, presente dappertutto, in primo luogo come condizione essenziale e come anima di ogni iniziativa, ha l'evidenza di una grazia: noi stiamo vivendo una delle ore «favorevoli» in cui si possono richiedere impegni generosi.
Risveglio delle vocazioni
D'altra parte, non ci troviamo di fronte soltanto a progetti e a speranze. La ripresa, su larga scala, della curva delle vocazioni nel mondo conferma la presenza di un'azione provvidenziale che sta portando i suoi frutti. Indubbiamente, ancora molte diocesi e intere nazioni - una minoranza, tuttavia - sono lente a seguire quest'ascesa e continuano a suscitare addirittura preoccupazione. È però significativo il fatto che dove si afferma la tendenza a migliorare, e soprattutto dove la stessa è più inattesa e accentuata, si sente spesso questa interpretazione ufficiale dei Vescovi: l'inversione di tendenza si deve principalmente al rinnovamento spirituale dei seminari; rinnovamento cercato e attuato in forme diverse, ma con la presenza di punti comuni sui quali dovremo soffermarci, per profittare di questa esperienza e trovare le vie di progresso.
Invito alla preghiera
Non si deve trascurare un'altra considerazione. Tutti, oggi, concordano nel riconoscere un po' dappertutto nella Chiesa, e anche fuori della Chiesa, un vero «invito alla preghiera». Non si contano più i «Centri» nei quali si va a cercare una iniziazione alla preghiera, dove ci si incontra per questo scopo, dove si pensa di trovare un «maestro di preghiera». A tale fine talvolta si affrontano lunghi viaggi, con il rischio quasi certo di sviarsi e di essere delusi. Basta che sia proposto da qualche parte un metodo, perché si presentino subito allievi disposti a provarlo. Ma quali che possano essere le disposizioni degli spiriti, quali che siano gli errori e gli insuccessi, l'invito esiste, generale, profondo. E, in molti modi, vi e stata già data una degna risposta. Ma ci si rende sufficientemente conto dell'ampiezza di questo bisogno e della straordinaria possibilità che si offre così alla Chiesa per il progresso della fede? A patto che si possa trovare nei sacerdoti dei veri «maestri di preghiera», sicuri della tradizione, viventi personalmente un'esperienza profonda, fervida, capaci di essere saggi e prudenti «direttori di anime», nella linea dei grandi modelli e degli inviti precisi del nostro tempo. Si tratta di tutt'altra cosa che dare un giudizio su movimenti, spesso ambigui nella loro origine, ma di mettere i sacerdoti in grado di rispondere effettivamente all'invito che Dio rivolge ai suoi chiamati, perché possano essere maestri di preghiera.
Risveglio spirituale nella Chiesa
Bisogna, infine, considerare come insignificante il contesto generale della vita della Chiesa? Non si deve forse pensare che la Chiesa stia vivendo una serie impressionante di avvenimenti, la cui densità spirituale ha sconcertato le guide abituali della pubblica opinione, e le ha disarmate come dinanzi all'evidenza dell'intervento di un elemento superiore ai fattori puramente umani? Chi non si è fermato commosso e pensoso davanti alla sorprendente grandezza dei funerali di Paolo VI, di cui il mondo intero è stato testimone, grazie agli strumenti della comunicazione sociale? Chi non ha almeno sospettato qualcosa di più di un «fatto diverso» nei Conclavi sorprendentemente rapidi e unanimi che seguirono, e nell'evento di un Papa «venuto da lontano», la cui semplicità e la cui fede senza ombra hanno conquistato fin dall'inizio il cuore dei fedeli? Si può pensare che la presenza di una tale guida - dopo le tempeste postconciliari - sia un'opportunità inaudita perché possano sorgere sacerdoti forti della medesima fede, attinta alle sorgenti della medesima preghiera.
Le giovani generazioni
Occorre qui notare fino a quale punto le giovani generazioni sono a loro modo solidali con la situazione attuale sopra accennata. I giovani aspettano il Cristo; aspettano che venga loro mostrato; che venga loro fatto amare. Sono pronti ad accogliere i sacerdoti che se ne dimostrano capaci. Essi si offrirebbero numerosi con entusiasmo a questa impresa, perciò i nostri seminari devono rispondere alla loro attesa: l'avvenire della Chiesa si decide, nell'ora presente, soprattutto nella formazione spirituale dei futuri sacerdoti. Nell'animo del giovane di oggi il bisogno spirituale prende naturalmente e generalmente la forma della ricerca inquieta di una ragione di vivere che il mondo circostante non gli offre. Il mondo lo lascia così di fronte alla vita privo di ciò che le darebbe senso. Noi sappiamo dalla fede che questa ragione di vivere è il Cristo, e nessun altro. Il giovane che aspira al sacerdozio ha cominciato a comprenderlo: sa che altri lo intuiscono e, più o meno distintamente, pronunziano già il nome del Cristo; questo giovane vorrebbe farlo conoscere loro nella sua piena verità, e chiede al seminario di renderlo capace di questo servizio.
Il Cristo, ideale del seminarista
Nessun ambiente, come quello giovanile, è più sensibile al vuoto spirituale che deve essere colmato. Ma è anche vero che qui più che altrove sono da temere le soluzioni disperate: attrattiva di ideologie menzognere, promesse folli di esperienze mortali, come la droga, il rifiuto di ogni norma morale, familiare, sociale; al limite, rinunzia pura e semplice a vivere. Chi porterà a questa generazione Gesù Cristo, la sola vera risposta, dovrà egli stesso possedere una solida preparazione, e aver trovato nel Cristo non solo la luce, ma la forza: la vera ragione di vivere, il vero modello di umanità da seguire, il Salvatore con il quale comunicare, e che occorre «aiutare», secondo la parola familiare a santa Teresa d'Avila. È da qui che si definisce il compito essenziale di un seminario, quello dei maestri che dovranno formare i futuri sacerdoti per una nuova generazione.
È il Cristo colui verso il quale la grazia ha attirato lo sguardo del giovane che aspira al sacerdozio. A Lui egli ha già donato il suo cuore, nello slancio di una generosità che ignora ancora le esigenze della formazione, ma che ne accetta già per istinto tutti i sacrifici. Il futuro sacerdote sa già che dovrà donare tutto, e nel fondo del suo cuore già tutto dona.
Il Cristo: i mezzi impiegati nella vita del seminario non hanno altro scopo che permettere a questa grazia iniziale di svilupparsi pienamente, secondo la misura donata a ciascuno. Sarà necessario che il cuore del futuro sacerdote si liberi da tutto ciò che nella sua natura e nelle sue abitudini potrebbe costituire un ostacolo al progresso dell'amore del Cristo. Sarà necessario che tutte le risorse del suo essere siano impiegate per diventare strumenti adatti a tale fine. Il Cristo conosciuto, cercato, amato sempre più attraverso gli studi, i sacrifici personali, le vittorie su se stesso, nella lenta conquista delle virtù della giustizia, della fortezza, della temperanza, della prudenza. Il Cristo contemplato con molta pazienza e fervida tenacia, perché a poco a poco, secondo la mirabile immagine di s. Paolo (cfr. 2 Cor 3,18), il volto stesso di Lui si imprima nel volto del credente. Il Cristo continuamente offerto al Padre per la salvezza del mondo nel mistero di cui il sacerdote sarà, in primo luogo, il ministro. Il Cristo di cui non si può non parlare e il cui regno, nella forza dello Spirito Santo e per la gloria del Padre, è divenuto l'impegno costante e la ragione unica di un'esistenza.
II ORIENTAMENTI
Quattro linee direttive
Abbiamo ritenuto di dover indicare quattro linee direttive più urgenti di lavoro nella formazione spirituale dei futuri sacerdoti.
Formare sacerdoti che accolgano e amino profondamente la Parola di Dio, perché questa Parola non è che il Cristo stesso, e per questo fine è necessario coltivare in essi innanzi tutto il senso dell'autentico silenzio interiore. L'acquisizione di questo senso è difficile: «Trovare il Cristo», come dice S. Ignazio di Loyola, non è possibile senza un lungo sforzo bene orientato e paziente. È il cammino dell'orazione stimata, amata, voluta, nonostante tutte le sollecitazioni e tutti gli ostacoli. È necessario che il futuro sacerdote possa essere, grazie a un'autentica esperienza, un «maestro di preghiera» per coloro che si rivolgeranno a lui, o che egli andrà a cercare, e per tutti coloro che tanti falsi profeti mettono oggi nel pericolo di smarrirsi.
Formare sacerdoti che riconoscano nel mistero pasquale, di cui essi saranno i ministri, l'espressione suprema di questa Parola di Dio; per questo occorrerà insegnare loro la comunione al mistero del Cristo morto e risorto. E là che il Cristo è veramente il «Salvatore». Se l'immagine del Cristo non è quella del «Crocifisso», non è più la sua immagine. S. Paolo l'ha ricordato con particolare vigore (cfr. 1 Cor 1, 23; 2, 2). Ora è il sacerdote che, nell'atto del mistero eucaristico, rende presente il sacrificio del Cristo e raduna intorno a sé il popolo cristiano per parteciparvi. Si può dunque dire, senza esitazione e senza esagerazione, che la vita di un seminario si giudica sulla comprensione che esso è capace di dare al futuro sacerdote di questo mistero, e sul senso dell'inalienabile responsabilità sacerdotale di farvi partecipare degnamente i fedeli.
Formare sacerdoti che non abbiano paura di accettare che la comunione reale con il Cristo comporta un'ascesi e, in particolare, una sincera obbedienza sull'esempio del Cristo. Sarà, pertanto, necessario che il seminario dia il senso della penitenza. Della Penitenza come sacramento, ma soprattutto della penitenza indispensabile per chi voglia vivere nel Cristo: non comunicare in modo fittizio ai suoi misteri; non rifiutare la propria parte alla Passione; portare la propria croce dietro di Lui; acquistare le virtù che costituiscono la struttura di un'anima cristiana e le permettono di vincere, di «non cedere» ai nemici nel combattimento che S. Paolo paragona a quello dello stadio (cfr. 1 Cor 9, 24). Un seminario che lasciasse un futuro sacerdote nell'ignoranza delle lotte che l'attendono e dell'ascesi senza la quale la sua fedeltà, come del resto quella dei fedeli, è impossibile, mancherebbe gravemente alla sua missione.
Infine, occorre fare del seminario una scuola d'amore filiale verso Colei che è la «Madre di Gesù» e che il Cristo in croce ci ha dato come Madre; questo non significa aggiungere una nota di pietà sentimentale alla formazione spirituale in seminario. Il gusto della preghiera alla Vergine, pertanto, la confidenza nella sua intercessione e le solide abitudini a questo riguardo fanno parte integrante del programma del seminario. Su ciascuno di questi punti, in particolare, ci soffermeremo con alcune riflessioni.
1. IL CRISTO, PAROLA DI DIO
Silenzio interiore
È necessario che il candidato al sacerdozio sia reso capace di ascoltare e di comprendere la Parola, il «Verbo» di Dio.
Non è necessario insistere qui sul bisogno evidente - per i cristiani e per i non cristiani - del silenzio interiore; si pensi ai gruppi che si formano, ai «Centri» che si creano, alle ricerche spesso disordinate di un contatto con coloro che si crede siano detentori di un «segreto» a questo riguardo, all'interesse per le formule più o meno ispirate dall'Asia...
Lasciamo da parte ogni descrizione dettagliata di queste ricerche di silenzio e ogni tentativo di giudizio. Ci limiteremo a costatarne il bisogno, per trarne le conseguenze per quanto concerne i nostri futuri sacerdoti. Essi dovranno possedere l'esperienza del silenzio interiore, averne acquisito il senso autentico ed essere capaci di comunicarlo.
È importante innanzi tutto che i sacerdoti abbiano un'idea esatta di questo silenzio: devono sapere in che cosa consiste. Certamente nessuno lo confonderà con un semplice silenzio esteriore dal quale è, come diremo, in una certa misura inseparabile. Ma vi sono confusioni più gravi. Ne esistono intorno a noi: molti vi sono esposti, quando si rivolgono alle mistiche asiatiche o ad altre mistiche. La mistica cristiana a nient'altro tende che a fare incontrare il Cristo, a favorire un'intimità interiore e un vero costante dialogo con Lui. L'autentico silenzio interiore, quello di cui parla così bene S. Giovanni della Croce, ha nel Cristo la sua sorgente e il suo termine. È il frutto della fede viva e della carità. È abbandono e dipendenza nei riguardi di Dio e, di per sé, è «distinto dal sentimento e dallo straordinario» (S. Luigi - M. Grignion di Montfort). È un atteggiamento profondo dell'anima che attende tutto da Dio e che è totalmente rivolta a Dio. Non è legato in modo essenziale a determinate posizioni del corpo, e tanto meno a una manifestazione interiore e sensibile dello Spirito Santo. Ora è questo che bisogna far scoprire e accettare al futuro sacerdote, mettendolo alla scuola di maestri spirituali sicuri e della Chiesa nella sua preghiera ufficiale.
L'arte della preghiera
Per ottenere questo silenzio interiore è necessario adoperare i mezzi. Si tratta di un'educazione lenta e difficile, poiché libera l'uomo dagli impulsi dei meccanismi interiori e dalle sollecitazioni del mondo. Senza avere la pretesa di giudicare in modo superficiale i metodi qua e là proposti, diciamo che nella nostra formazione bisogna non confidare nei «mezzi sbrigativi» che promettono troppo e troppo presto; sviano dalla meta e creano falsi bisogni, con l'illusione di risultati quasi automatici e ingannevoli: un certo calore umano scambiato per un benessere spirituale; una violenza fatta al corpo, che non fa altro che svuotare l'anima; una musica allettante... La scuola della fede è laboriosa, ed è proprio di questo che si tratta. I veri mezzi sono: la frequenza di autentici maestri, la preghiera coltivata con pazienza e soprattutto la preghiera ufficiale della Chiesa, pienamente e profondamente partecipata. Bisogna aggiungere la presenza e il consiglio di una guida, compito specifico del futuro sacerdote. Inoltre, non bisogna separare questo aspetto della vita di fede - veramente fondamentale - da tutti gli altri aspetti di una formazione che accetti la regola di una fede viva, operante per mezzo della carità
I maestri spirituali
I «maestri spirituali», grazie a Dio, non sono mai mancati nella Chiesa. La loro riconosciuta santità personale e la prodigiosa fecondità della loro azione costituiscono per noi un invito e un incoraggiamento. Essi sono dei «santi» che hanno formato generazioni di santi. Il loro nome è nel ricordo di tutti, ma quanti futuri sacerdoti li avranno frequentati prima di lasciare il seminario? Quanti avranno potuto acquisire con il loro contatto il senso di un autentico clima spirituale, il gusto di Dio e di questo silenzio interiore che non inganna e che rende sensibili alle «note false»? Ogni seminario, su questo punto, deve avere un programma e deve abituare gli alunni a leggere e a gustare i grandi autori spirituali, i veri «classici». Queste letture non sono certo esclusive, ma devono essere preminenti, e restano indispensabili.
Insegnare a pregare
In questo contesto, bisogna insegnare a pregare, ad accettare gli inizi laboriosi e deludenti della preghiera, senza timore di dare regole, di adottare umilmente un metodo e di seguirne l'attuazione pratica. Se non si ritiene possibile e più proficua in un determinato contesto la preghiera in comune, è necessario almeno determinare rigorosamente il tempo della preghiera personale e assicurarsi che lo si mantenga fedelmente. Si deve far evitare le preparazioni astratte, far preferire, a tutto, il Vangelo, richiamare instancabilmente il fine: «cercare il Cristo»; «aspettarsi tutto da Lui solo»; non prendere una bella idea per un buon risultato; «imparare ciò che si sa»; «approfondirsi, non arricchirsi»... Tutto questo si traduce nelle più svariate linee: dal semplice ascolto alla domanda; dall'adorazione muta alla lode... Ecco quello a cui la guida deve senza sosta richiamare, perché il discepolo non si smarrisca e apprezzi correttamente i suoi progressi.
La preghiera della Chiesa
Ma niente è più importante e decisivo di una partecipazione sempre più profonda e completa alla preghiera della Chiesa, prima di tutto alla celebrazione eucaristica e alla liturgia della Parola, che la introduce - e lo richiameremo -, ma anche alla «liturgia delle Ore». La preghiera della Chiesa si nutre della preghiera dei Salmi. In essi la Chiesa riceve da Dio stesso le parole «ispirate»: esse sono come lo «stampo» in cui essa cola i pensieri e i sentimenti umani. È lo Spirito Santo che per mezzo dei Salmi suggerisce le parole e forma il cuore. È così che Gesù pregava; la sua Passione ne è una testimonianza. È cosi che Maria pregava, come ne è chiaro esempio il suo «Magnificat». Non c'è preghiera più capace di creare a poco a poco il silenzio interiore che si cerca, quello vero che viene da Dio, di quella che è semplicemente, intelligentemente e nello stesso tempo perfettamente cantata, sia in privato sia, quando è possibile, in comunità.
Il silenzio esteriore
Non è che il silenzio esteriore sia a tale scopo insignificante o inutile. Quando esiste il silenzio interiore, esso richiede il silenzio esteriore, lo ricerca e lo procura. E a sua volta, il silenzio esteriore si pone al servizio dell'altro. È necessario a un seminario, che vuole preparare esperti maestri di preghiera, il silenzio esteriore: un regolamento dovrà provvedervi fin dall'inizio. Ma se non si vede da dove proviene e a che cosa vuole condurre un simile silenzio, non potrà che essere insignificante e male accettato. Al contrario, quando il silenzio interiore si approfondisce, l'esigenza del silenzio esteriore si fa sempre più pressante e rigorosa. Non vi è alcun dubbio che in un seminario nel quale non esiste il silenzio esteriore, anche il silenzio spirituale è assente.
Il clima generale
Appare chiaro che questa iniziazione suppone varie condizioni. Ma come sottrarsi ad esse senza venir meno a un dovere? L'abbiamo già detto, l'educazione alla preghiera non può essere separata dall'educazione generale. Essa non può rimanere un compartimento stagno, ma deve unirsi a una vita di carità vicendevole, a una ricerca del Cristo mediante lo studio e mediante il servizio per il regno di Dio presente o futuro nella Chiesa, benché l'educazione alla preghiera esiga i suoi mezzi specifici. Ma, soprattutto la formazione al silenzio interiore deve essere l'oggetto di un'intesa costante da parte dei responsabili del seminario; tutti vi hanno la loro parte specifica: il rettore, il direttore spirituale e ciascuno dei professori. Se questa catena si spezza, non si ha formazione; se ciascuno non ne assume la responsabilità in coscienza e in pratica, se non si è disposti a farne oggetto di riflessione comune e permanente, i migliori mezzi, per mancanza di ambiente portante, perdono il loro valore.
2. LA PAROLA DELLA CROCE: IL SACRIFICIO REDENTORE
Il sacramento del sacrificio
La preghiera della Chiesa raggiunge il suo «culmine» nella liturgia eucaristica: questa ne è, secondo la Costituzione conciliare sulla Liturgia (n. 10), «la vetta e la fonte». Infatti, l'Eucaristia non è altro che lo stesso Sacrificio del Signore offerto e partecipato nella comunità dei battezzati. Il provvidenziale sforzo iniziato da san Pio X ha portato largamente i suoi frutti, e il Concilio Vaticano II ha rilanciato questo sforzo. È necessario che i futuri sacerdoti siano capaci di sfruttarlo a fondo e di mantenerlo nella giusta direzione. Questo richiede oggi una mano particolarmente vigorosa, un senso teologico solido e sicuro, una fedeltà assoluta alla disciplina della Chiesa, una esperienza personale profonda e bene mantenuta.
L'Eucaristia è «il sacramento del sacrificio redentore». La teologia non ha cessato di esplorare questo mistero, di cui la Chiesa vive in permanenza. La pienezza di questo mistero è tale che la mente umana fatica ad accettarlo: essa è tentata sia di ridurlo, nell'intento di farlo entrare nei limiti della nostra ragione, sia di sfruttarne un aspetto a danno degli altri, a rischio di squilibrare l'edificio della fede. È per questo motivo che in un seminario la dottrina, su questo punto, deve essere insegnata e incessantemente richiamata con estrema cura. Nessun aspetto può essere sacrificato a un altro: l'insegnamento del Concilio di Trento sulla realtà del sacrificio deve essere professato in tutta la sua fermezza, come anche quello della «presenza reale»; l'aspetto della comunione fraterna, per quanto profondamente compreso, non dovrà portare pregiudizio all'aspetto fondamentale, che è quello del sacrificio del Cristo, fuori del quale il banchetto eucaristico perde il suo senso. Ora non è permesso ignorare le deviazioni che si hanno oggi su questi punti, e contro le quali i sacerdoti dovranno essere messi accuratamente in guardia. Nessuno sforzo pastorale, che non abbia il suo punto d'appoggio nella dottrina, può essere considerato veramente riuscito.
L'adorazione eucaristica
La fede eucaristica non ha potuto non sbocciare a poco a poco lungo i secoli in un culto al di fuori del sacrificio liturgico, consentendo alla preghiera di rivolgersi per un certo spazio di tempo, con fervore riconoscente, al Cristo offerto come «ostia» per noi e sacramentalmente presente oltre la stessa Messa, conservato, in particolare, per essere il «Viatico» dei moribondi. Lo sviluppo continuo del culto di adorazione eucaristica è una delle più meravigliose esperienze della Chiesa: l'incomparabile fioritura di santità che ne deriva, il grande numero di comunità intere espressamente consacrate a questa adorazione garantiscono l'autenticità di una tale ispirazione; il fratello Charles de Foucauld, solo nel deserto con l'Eucaristia, e presente nella Chiesa attraverso i suoi «Piccoli Fratelli» e le sue «Piccole Sorelle», ne è una splendida testimonianza nel nostro tempo. Un sacerdote che non partecipi a questo fervore, che non abbia acquistato il gusto di questa vita di adorazione e pertanto non sappia trasmetterlo, tradisce l'Eucaristia stessa e chiude ai fedeli l'accesso a un incomparabile tesoro.
Il sacerdozio
Qui si inserisce la dottrina sul sacerdozio. Il favore accordato alla teologia dei ministeri non dovrebbe rimettere in questione la dottrina del ministero sacerdotale, felicemente e solidamente fissata nella Chiesa specialmente dal Concilio di Trento. Chierici e laici hanno nella Chiesa una missione complementare: lo sviluppo dei ministeri laicali non altera affatto la specificità del sacerdozio ministeriale. Ben lungi dal compromettere il senso e l'importanza della Parola di Dio, la funzione eucaristica li consacra. Nella persona del sacerdote si saldano indissolubilmente i due aspetti sotto i quali ci è dato il cibo che viene dall'alto; questi due aspetti, dei quali il discorso di Cafarnao, al capitolo 6 di San Giovanni, mette in grande rilievo la radicale solidarietà. Il sacerdote è fatto per preparare e distribuire sotto queste due forme sacramentali - quella del segno della parola e quella del segno del pane degli uomini - questo Pane di vita eterna, che è il Cristo.
Anche sul suo proprio terreno il sacerdozio ministeriale può avere bisogno di un aiuto. Ma quali che possano essere i concorsi riconosciuti dalla Chiesa come legittimi, e a volte necessari, da parte dei laici, il sacerdote non può perdere e nemmeno delegare la sua responsabilità essenziale: quando un laico è invitato a predicare, il sacerdote resta responsabile e della scelta e dell'insegnamento di questo collaboratore, che non può essere incaricato alla leggera; né può essere diversamente quando il sacerdote incarica un laico a distribuire l'Eucaristia. È per questo che il seminario deve dare un'estrema importanza ai mezzi che la Chiesa ha istituito per preparare i futuri sacerdoti a prendere coscienza del loro ufficio e della sua singolare importanza. Le due istituzioni liturgiche, che un tempo venivano chiamate Ordini minori, il Lettorato e l'Accolitato, non sono meno opportune e meno importanti nella loro attuale veste più modesta. Il misconoscerne il valore, il conferirli, ad esempio, allo stesso tempo è andare contro un bene di prim'ordine e privarsi d'una risorsa pedagogica soprannaturale in un settore importante; si rilegga la commovente lettera di San Cipriano (cfr. Ep. XXXVIII, Ed. Can. Bayard, Paris 1925, pp. 96-97), il quale chiama all'ufficio di Lettore un giovane, che se ne è reso degno rischiando un pericolo reale di martirio: san Cipriano presenta questo ufficio come una preparazione necessaria che lascia sperare per una più alta responsabilità, quella del sacerdozio.
La disciplina della Chiesa
L'intelligenza dell'Eucaristia conduce a comprendere e a rispettare religiosamente la disciplina della Chiesa in questa materia. Oggi si parla di «creatività». Ma questa non può essere intesa che nell'ambito delle regole poste dalla Chiesa. Le regole che ordinano la preghiera devono essere ricevute con lo stesso spirito di obbedienza di quelle che riguardano la stessa fede: secondo la formula classica infatti la «lex orandi» e la «lex credendi» si compenetrano. Le regole stabilite dalla Chiesa sono legate in profondità a valori essenziali, che è facile ai singoli perdere di vista, anche quando essi dimostrano una vera preoccupazione pastorale. È così che si mette il disordine nella fede; ciò del resto non avviene senza creare malessere e provocare divisioni dolorose. Il punto essenziale di riferimento qui è il Concilio Vaticano II. È più che sufficientemente provato che gli orientamenti conciliari osservati con fedeltà non urtano il popolo cristiano; esso non si ribella che alle invenzioni arbitrarie e agli eccessi. Per esempio, il Concilio è ben lontano dall'aver bandito il latino, anzi al contrario: la sua esclusione sistematica è un abuso non meno condannabile della volontà sistematica di alcuni di mantenerlo esclusivamente. La sua scomparsa immediata e totale non può non rimanere senza conseguenze pastorali; soltanto in maniera progressiva la «Parola di Dio» può assumere, per il bene generale, la veste della parola di tutti i giorni, senza per ciò confondersi con una «parola di uomini» nella coscienza dei fedeli (cfr. 1 Tim 2, 13). Per questo occorre un'educazione. Perciò il seminario deve far comprendere ai futuri sacerdoti la gravità di questi pericoli, e far loro non solo accettare, ma amare l'obbedienza. C'è abbastanza spazio per le iniziative nell'ambito delle direttive ricevute!
Il Cristo pane di vita: Parola ed Eucaristia
I discepoli di Emmaus sentivano il loro cuore ardere (cfr. Lc 24, 32) mentre lungo il cammino la Scrittura era loro spiegata dal misterioso viandante. Ma essi dovevano riconoscerlo solo nella «frazione del pane». La Chiesa rifà in ogni Messa lo stesso cammino. Il Cristo per mezzo del suo Spirito commenta ai suoi la Scrittura, per disporli a prendere parte alla Cena preparata dalle sue mani. L'unità profonda del mistero della Parola divina - che viene ormai offerta cosi abbondantemente nella liturgia -, con la stessa Eucaristia, deve sempre più profondamente essere sperimentata dai futuri sacerdoti. Non sono, a dire il vero, due «tavole» separate: l'una conduce all'altra; tutto, come è rivelato nel capitolo 6 di san Giovanni, sale dal pane della Parola al pane dell'Eucaristia; il Vangelo stesso, tutto intero, è orientato verso quella «ora» del Cristo, sulla quale egli si sofferma lungamente: tutto l'insegnamento del Signore era fatto per condurre all'intelligenza del mistero pasquale. Infatti «per questo egli era venuto»; la liturgia della Parola prepara al Sacrificio. È in questa liturgia della Parola previa all'Eucaristia che la Parola prende tutto il suo senso; essa è vissuta in pienezza grazie al contatto formale con l'Eucaristia. Le «celebrazioni della Parola», previste dal Concilio, non possono non riferirvisi, quanto più possibile, esplicitamente. È così che la vita di preghiera del futuro sacerdote riveste tutto il suo significato, tutto il suo valore, realizzando tutte le sue promesse.
La veste sacerdotale
In verità, è la partecipazione all'Eucaristia che rivela il clima spirituale di un seminario. E perché non aggiungere che forse vi si ritroverebbe il bisogno e il senso di una «veste» sacerdotale, troppo facilmente perduti, con pregiudizio di una pastorale che si voleva promuovere?
Il papa Giovanni Paolo II ha già richiamato più volte la necessità che il sacerdote appaia agli uomini quello che è: uno di loro, certo, ma caratterizzato da un segno chiaro che lo qualifichi e lo abiliti in nome di Dio presso i suoi e il mondo intero. Ora, come negare l'evidenza? Agli occhi dei fedeli e della stessa coscienza del sacerdote, il senso dei «sacramenti della fede» si degrada sempre più quando un sacerdote, abitualmente negligente nel suo abbigliamento o pienamente secolarizzato, ne diviene il ministro: Penitenza, Unzione degli infermi e, soprattutto, Eucaristia. Molto spesso il passaggio al senso del sacro non si fa più nemmeno per la via degli indumenti liturgici prescritti. Questo slittamento è fatale, nel senso che é ineluttabile, ma è soprattutto fatale nel senso che è disastroso. Il seminario non ha diritto di essere remissivo davanti a tali conseguenze. Deve avere il coraggio di parlare, di spiegarsi, di esigere.
3. LA PAROLA DELLA CROCE: I «SACRIFICI SPIRITUALI»
Occorre assegnare pure un posto, accanto all'Eucaristia, alla Penitenza. Questo nome è stato dato a un sacramento ma è necessario evidentemente estenderlo alla vita sacerdotale, intesa come sforzo che tende a raggiungere il Cristo redentore e a partecipare personalmente ed effettivamente alla sua Passione. Il sacerdote deve essere per gli altri un «maestro di penitenza», così come è un «maestro di preghiera».
Preparazione alla Penitenza
Il Concilio Vaticano II non ha relegato nell'ombra il sacramento della Penitenza. Se questo sembra essere andato in disuso, in relazione a un passato recente, ciò è accaduto a causa di un vero abuso. Le «celebrazioni penitenziali» non erano destinate a eliminare a poco a poco il sacramento della Penitenza, in favore di una penitenza cosiddetta «generale» e falsamente presentata come un ritorno alle origini. La Penitenza pubblica dei primi secoli riguardava un piccolo numero di peccatori determinati, conosciuti e lungamente provati in un contatto «privato» con il Vescovo. La Penitenza detta «pubblica» veniva perciò a introdurre in «pubblico» un penitente il cui cammino penitenziale era stato, fino a quel momento, privato. Che cosa c'è in comune fra questo antico rito e un'assoluzione data a un pubblico indeterminato del quale nessuno sa niente? Anche se la Chiesa ammette, in caso di necessità e sotto certe condizioni, un'«assoluzione collettiva», è nella Penitenza privata, così come la teologia l'ha progressivamente definita e giustificata e come essa e stata praticata fino ai nostri giorni, che si identifica effettivamente la Penitenza pubblica del passato. Detto questo, le celebrazioni penitenziali sono una ben felice iniziativa che interviene giustamente per mettere le coscienze in grado di presentarsi individualmente al sacerdote in un clima spirituale conveniente, spesso assai poco garantito in passato, e con la chiara percezione della volontà di Dio e delle sue precise esigenze: cosa che è mancata forse per molto tempo. Emerge da sé quale ricca educazione il seminario debba dare ai suoi futuri sacerdoti in questa materia, anche secondo le indicazioni dell'Istruzione di questa Congregazione sulla formazione liturgica (n. 35). È necessario fare esercitare i candidati, mediante un vero contatto con la Parola di Dio, a formarsi un'idea giusta della struttura di una coscienza cristiana, ordinata intorno alla carità, ma senza ignorare nessuna delle componenti che devono dare alla carità il suo contenuto: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza, secondo le espressioni classiche. Occorre che gli alunni si esercitino, inoltre, a mettere tutta questa riflessione e investigazione in un clima di amore di Dio dove sboccia un'autentica e serena contrizione.
La penitenza privata
Partendo da quanto detto, il contatto personale con il sacerdote diventa del tutto naturale: la dottrina morale tradizionale incontra qui il suo pieno senso. Niente può supplire questo contatto con il sacerdote, in cui uno spirito illuminato e un cuore pentito sollecitano da colui che ha da Dio il potere di rimettere i peccati quella parola insostituibile che il Vangelo ci fa ascoltare così spesso e che tocca, direttamente e personalmente, il peccatore pentito: «Ti sono perdonati i tuoi peccati». Tutto questo, unito, quando è possibile e utile, a un consiglio ben appropriato. Come la preparazione è stata comunitaria e ha permesso che ciascuno profittasse della preghiera di tutti, così il perdono è di per sé personale e incomunicabile. Il seminario deve dare il gusto di questa assoluzione privata, come pure della celebrazione comunitaria quando essa può essere fatta. Il sacerdote che l'avrà capito, troverà il coraggio di imporsi il faticoso servizio che ha fatto un santo Curato d'Ars, e di cui Don Bosco ha dato un magnifico esempio in un tempo assai più vicino a noi.
Direttori di anime
C'è da dire inoltre che, nel contesto del sacramento degnamente e autenticamente ricevuto, la luce del Signore passa liberamente e va molto al di là del semplice perdono. Un sacerdote che «confessa» diventa in molti casi, a partire dalla confessione, un «direttore di coscienza»: egli aiuta a discernere le vie del Signore. Quante vocazioni non sono state mai scoperte per la mancanza di questo contatto soprannaturale unico nel quale il sacerdote avrebbe potuto almeno far sorgere un interrogativo! E non si deve forse attribuire all'oscuramento del sacramento della Penitenza privata almeno una parte della responsabilità del calo impressionante delle vocazioni religiose? Il seminario deve sapere che esso prepara dei «direttori di anime». Ascesi e regolamento
Il sacramento della Penitenza non è altro che l'intervento di Dio che viene ad avallare un lavoro personale, del quale la «celebrazione» è una tappa felice e previa a tutte le altre. Dio viene a incontrare il penitente che deve essere in permanenza un cristiano che porta la sua croce dietro al Cristo. La parola «ascesi» è oggi pronunziata molto raramente; l'ascesi stessa è poco accetta. Essa tuttavia è indispensabile a ciascuno, certo tenendo conto della propria natura e missione. Il sacerdote non può essere fedele al suo incarico e ai suoi impegni, soprattutto a quello del celibato, se non è stato preparato ad accettare una vera disciplina che un giorno dovrà imporsi da sé stesso. Il seminario non ha sempre il coraggio di dirlo e di richiederlo, però la suddetta disciplina dice particolarmente relazione a un «regolarnento» saggio e sobrio, ma fermo, che non ricusi una certa necessaria severità e che prepari a sapersi dare più tardi una regola di vita adatta. L'assenza di una qualsiasi regola precisa e ben seguita è per il sacerdote fonte di molti mali: perdita di tempo, perdita di coscienza della sua propria missione e delle riserve che essa gli impone, progressiva vulnerabilità agli attacchi del sentimento... Si pensi ai sacrifici che impone la fedeltà coniugale; e la fedeltà sacerdotale non ne dovrebbe richiedere? Sarebbe un paradosso. Un sacerdote non può vedere tutto, ascoltare tutto, dire tutto, provare tutto... Il seminario deve averlo reso capace, nella libertà interiore, di compiere dei sacrifici e di osservare una disciplina personale intelligente e leale.
Obbedienza
Non si può mancare di fermarsi un momento sul problema dell'obbedienza. È necessario che la parola obbedienza non appaia più come una parola interdetta: non si può essere discepoli del Cristo, negando un titolo che è espressamente attribuito a gloria del Cristo (cfr. Fil 2, 8-9). La libertà personale non soltanto non è compromessa dall'obbedienza bene intesa, ma essa vi trova la sua espressione più alta.
Ovviamente è necessario che l'obbedienza sia ben intesa.
Non si può certo definire obbediente a Dio chi si rifiuta di obbedire ai suoi ministri. Ma l'esercizio dell'autorità e quello dell'obbedienza non possono essere compresi o accettati se da una parte e dall'altra non vi si scorge espressamente un'obbedienza a Dio. Per cui sia il rettore, sia il seminarista devono avere, in questo campo, innanzi tutto e costantemente gli occhi fissi alla volontà divina, che si manifesta nel «bene comune» del seminario. Al rettore tocca definire chiaramente questo «bene comune», di farlo vedere e comprendere, di farlo amare, di stimolare al suo servizio tutte le iniziative e le buone volontà, di interessare gli alunni alla definizione di detto «bene comune», sui punti in cui è oscuro, mediante un dialogo ben diretto, e infine di decidere con autorità e senza esitazione. Al futuro sacerdote spetta di prestarsi all'ascolto, comprendere colui che ha la missione di dirigere nel nome del Signore; al futuro sacerdote spetta di cooperare, secondo le sue possibilità, alla realizzazione di quel «bene comune» che consiste sempre, in definitiva, nel fatto che venga creato e mantenuto un ambiente nel quale il sacerdozio del Cristo sia conosciuto e proposto alla coscienza di tutti, nel quale la grazia di Dio possa fare la sua opera in ciascuno, non esigendo di più da chi può di meno, né di meno da chi può di più.
L'obbedienza rimarrà sempre un sacrificio. Essa deve diventare nel medesimo tempo una gioia, perché è un modo di amare Dio. Un domani, sotto varie forme, il giovane sacerdote dovrà praticare l'obbedienza. È necessario che egli giunga a comprenderla nel Cristo e ad amarla. È in questo contesto che si può fare l'esperienza autentica di una vera comunità fraterna cristiana, il cui cemento consiste nella volontà di cooperare insieme al regno di Dio.
4. LA «PAROLA FATTA CARNE» NEL SENO DELLA VERGINE MARIA
Il mistero di Maria, oggetto di fede
Non si direbbe ciò che è richiesto dalle circostanze attuali nel campo della formazione spirituale, se non si ricordasse almeno brevemente, ma fermamente, quello che deve essere nel seminario la devozione alla Vergine Maria. La parola «devozione» si presta oggi a degli equivoci. Può sembrare che si tratti di un dono o di un gusto personale e facoltativo. In realtà si tratta di accettare la fede pura e semplice della Chiesa e di vivere quello che il nostro Credo ci domanda di credere: il Verbo di Dio si è incarnato nel seno della Vergine Maria. La parola del Cristo in croce mostra a sufficienza, se ce ne fosse bisogno, che non si trattava in quella nascita di un contributo effimero di Maria alla Redenzione. L'Annunciazione è un'altra parola per definire l'Incarnazione. La Chiesa ha preso coscienza lentamente del mistero mariano. Ben lungi dall'avere aggiunto qualcosa di sua iniziativa a ciò che ci insegna la S. Scrittura, la Chiesa ha sempre incontrato la Vergine Maria in ciascuno dei momenti nei quali cercava di scoprire il Cristo. La cristologia è anche una mariologia. Il fervore con il quale il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II vive il mistero mariano non è altro che una fedeltà. Ed è così che l'amore alla Vergine Santa deve essere insegnato in un seminario. I problemi sollevati oggi dalla cristologia troveranno la loro soluzione in una fedeltà di questo tipo. Ovviamente la devozione alla Vergine può e deve essere una garanzia nei riguardi di tutto ciò che tendesse oggi a tagliare le radici storiche del Mistero del Cristo. È il caso di domandarsi francamente se l'oscuramento della devozione alla Vergine Maria non nasconda, in molti casi, un'esitazione davanti alla confessione aperta del mistero del Cristo e dell'Incarnazione.
Atteggiamento mariano
È evidente che questo mistero della Vergine non può essere vissuto che in un clima interiore di semplicità, di abbandono, che non ha niente a che vedere con una sdolcinatura o una effusione superficiale di sentimenti. La familiarità con la Vergine Maria non può condurre ad altro che a una migliore familiarità con il Cristo e con la sua croce. Niente può, meglio della vera devozione alla Vergine Maria, concepita come uno sforzo sempre più completo di imitazione, introdurre, secondo lo spirito del Concilio Vaticano II e dell'esortazione «Marialis cultus» di Paolo VI, nella gioia di credere: «Benedetta tu che hai creduto» (Lc 1, 45). Un seminario non deve indietreggiare davanti alla difficoltà di dare ai suoi alunni, mediante i mezzi tradizionali della Chiesa, un senso del mistero mariano autentico e una vera devozione interiore, così come l'hanno vissuta i santi, e come San Luigi-M.Grignion di Montfort l'ha presentata, cioè un «segreto» di salvezza.
III CONCLUSIONE
Per concludere, vorremmo dare un suggerimento. A dire il vero ci auguriamo che questo suggerimento sia messo in pratica e che a poco a poco si inserisca negli Istituti in maniera solida e durevole.
Un suggerimento
L'ideale del quale abbiamo presentato qualche aspetto è difficile da raggiungere. I giovani generosi che si presentano per il sacerdozio vengono da un mondo ove il raccoglimento interiore è reso quasi impossibile dalla sovreccitazione permanente della sensibilità e da un sovraccarico di pensieri. L'esperienza dimostra che un periodo di preparazione al seminario, consacrato esclusivamente alla formazione spirituale, non solamente non è superfluo, ma può apportare risultati veramente sorprendenti. La testimonianza di qualche seminario dove il numero dei candidati è, con quella esperienza, improvvisamente aumentato, manifesta, secondo i responsabili, il frutto di questa coraggiosa iniziativa, che si prolunga per lo spazio di un anno intero. Questo periodo di propedeutica spirituale si rivela bene accetto anche ai candidati stessi. È piuttosto la diocesi che, avendo bisogno di sacerdoti, crederà di fare con quella iniziativa un sacrificio imprudente: in realtà, essa ne scoprirebbe ben presto il beneficio. Noi ci permettiamo di insistere, come conclusione, che l'esperienza venga tentata. Questa preparazione si avvantaggerebbe dal fatto di essere compiuta fuori del seminario stesso, prolungandosi per un certo periodo di tempo. Si otterrebbe così, fin dall'inizio, ciò che si cerca difficilmente di acquisire durante gli anni di seminario quando il lavoro intellettuale, che occupa la maggior parte del tempo, non consente l'opportunità e la libertà di spirito necessarie a una vera iniziazione spirituale.
Se un tale suggerimento fosse accettato, le indicazioni e le raccomandazioni fatte in questa circolare avrebbero, lo si può ben credere, le migliori prospettive di produrre il loro frutto. È evidente che non è sempre possibile realizzare questa iniziativa, ma molte possibilità si apriranno certamente all'immaginazione generosa di coloro che avranno voluto accettare i richiami suddetti e fidarsi della grazia del Cristo, che li aiuterà a metterli in pratica.
Roma, dal Palazzo della Sacra Congregazione, 6 gennaio 1980, nella Solennità dell'Epifania del Signore.
GABRIELE M. Card. GARRONE
Prefetto
ANTONIO M. JAVIERRE ORTAS
Arciv. tit. di Meta
Segretario