Pace_in_SiriaLinguaggio universale dell’anima

La preghiera per la pace

Siria, Egitto, Afghanistan, Iraq...Fa impressione vedere un’umanità che anziché cercare le vie della pace, continua a creare disaccordi che finiscono inevitabilmente in azioni di guerra. Si ha come la sensazione di vivere su un territorio soggetto a terremoti. Anche per questo l’invito di papa Francesco a digiunare e a pregare, per impedire che dalla Siria la violenza della guerra dilaghi nel mondo, ha riscosso un’oceanica adesione, scavalcando steccati ideologici e religiosi. Ha stupito che una risposta positiva è venuta anche da ambienti laici, talvolta perfino ostili alla Chiesa, dimenticando che in tutte le epoche il digiuno è stato praticato ondistintamente da chi lo ha ritenuto un valore in termini di solidarietà, di  capacità di incidere sulle decisioni umane, di controllo della mente sul corpo. Gandhi diceva che “il digiuno è per l’anima ciò che gli occhi sono per il corpo”.
Anche la preghiera, intesa come presa di coscienza del proprio sé profondo, viene rivendicata da chi non crede. Una singolare testimonianza è quella lasciata da Primo Levi, che internato ad Auschwitz nel 1943, scriveva: “Devo ammettere di avere provato una volta sola la tentazione di cercare rifugio nella preghiera. Questo è avvenuto nell’unico momento in cui mi è accaduto di percepire con lucidità l’imminenza della morte”. Primo Levi sembra condividere quanto scrisse Etty Hillesum, l’ebrea morta ad Auschwitz, nel suo Diario, dove considera Dio “La parte più profonda e ricca di me, in cui riposo…Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio, A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta di pietre e sabbia, allora Dio è sepolto”.
La preghiera “è una forza politica” sostiene il priore di Bose, Enzo Bianchi, una componente della storia. Prima ancora di tradursi in una specifica esperienza religiosa, pregare è fare un passo con Dio nelle situazioni di conflitto, di discordia e di divisione. Lo testimoniava il Nobel giapponese per la letteratura Kenzaburo Oe, quando proponeva come antidoto alla crisi epocale che stiamo attraversando, la preghiera “comune a credenti e non credenti, dei quali ultimi faccio parte”. Gli replicava il grande romanziere israeliano Amos Oz, dicendo: “Per un ebreo non praticante come me pregare significa: pregare in un silenzio talmente profondo e con una concentrazione tale da riuscire, per un istante, ad ascoltare e ricevere la nostra stessa preghiera”. C’è in questa affermazione un’eco sia del Salmo 108, “Io sono preghiera”, sia del paradosso di Salvador de Madariaga: “Non so se credo o non credo. So che prego”.
Dunque serve digiunare e pregare da parte di tutti, ma in particolare  di chi sa che Dio non è astratto oggetto di dissertazioni, ma Persona vivente con cui vivere in relazione. Colui che prega è il vero teologo dicevano i Padri della Chiesa. Che altro è la Chiesa se non intercessione presso Dio per gli uomini? Questo il servizio che è chiamata a svolgere e che l’assimila al crocifisso, collocandola nel mondo non da crociata, ma da segnata dalla croce.
Lo confermano i martiri della nostra epoca. Centomila è lo spaventoso numero di cristiani che ogni anno vengono uccisi nel mondo, secondo il più recente rapporto della fondazione “Aiuto alla Chiesa che Soffre”. Anche il nostro Paese ha conosciuto la bufera dell’odio, proprio a causa di una guerra. A 70 anni dall’8 settembre 1943 -il giorno dell’armistizio fra l’Italia e gli Alleati- è importante ricordare che, durante i venti mesi di terrore e sangue dell’occupazione, furono uccisi almeno 280 consacrati, spesso in modo efferato, dopo violenze e torture. Tra gli ultimi Rolando Rivi, il seminarista quattordicenne, che il 5 ottobre prossimo, a Modena, sarà proclamato beato.

(P. Vito Magno su Avvenire del 13 Settembre 2013)