Marzo 2013
Si sono ordinati lo stesso giorno del suo omicidio
Quelle vocazioni a Palermo sorte dal sangue di Puglisi
I quattro giovani che il 15 settembre scorso sono stati ordinati sacerdoti a Palermo erano appena adolescenti quando diciannove anni fa, in quello stesso giorno, fu ucciso don Pino Puglisi, il prete loro conterraneo, prossimo beato. E’ alquanto singolare che dal 1993 questa diocesi siciliana assiste ad un trend positivo di vocazioni. Il cardinale De Giorgi ricorda che nei suoi 10 anni passati a Palermo ha ordinato 60 sacerdoti, mentre nei 25 anni precedenti i preti ordinati dal Cardinale Pappalardo sono stati solo un’ottantina. “Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani” diceva Tertulliano; parafrasando si può dire che il sangue dei martiri è seme anche di nuove vocazioni.
Le ordinazioni del 15 settembre scorso hanno avuto anche il merito di evidenziare un impegno non marginale di Don Puglisi, quello di essere animatore vocazionale. Il seme di civiltà da lui piantato nei cuori dei giovani scaturiva, infatti, dal principio a cui li educava fin da piccoli: ogni persona ha una missione da compiere come risposta al dono della vocazione ricevuta da Dio. Un altro principio del suo essere animatore consisteva nello spendersi personalmente per gli altri. Un poster, appeso nel suo ufficio, mostrava un orologio senza lancette con la scritta: “Per Cristo a tempo pieno”. Una volta disse che avrebbe voluto morire a sessant’anni, temendo che superata quella soglia non sarebbe stato più in grado di portare avanti pienamente il suo lavoro. Chi, nel processo di beatificazione, ha dovuto studiare l’eroicità delle sue virtù, si è trovato di fronte ad un sacerdote che non aveva mai smesso di esercitare la direzione spirituale ai seminaristi, neppure da parroco.
Del resto il grosso dei suoi 56 anni l’aveva passato insegnando e promuovendo le vocazioni. Non sempre infatti era stato parroco, anche se i tre anni passati al quartiere Brancaccio lo avevano particolarmente segnato. Restano ancora tracce delle iniziative intraprese in qualità di direttore del Centro diocesano vocazioni di Palermo e del Centro regionale della Sicilia: tra queste le scuole di preghiera e il mese vocazionale, che diversi parroci avevano accettato ogni anno di celebrare.
Che questa fosse la frontiera avanzata del suo ministero sacerdotale, lo capimmo negli anni ‘80 al Centro Nazionale Vocazioni quando, da consigliere di questo organismo, divenuto oggi Ufficio della Cei, sosteneva che “Non è la vita facile ad attirare i giovani». Allora egli era un prete sconosciuto alla grande stampa; gli anni dell’approfondimento dell’ecclesiologia del Vaticano II, che fondava la pastorale delle vocazioni in una Chiesa tutta ministeriale. Don Puglisi entrò in questo campo in punta di piedi. Timoroso, all’apparenza, di battere una pista su cui altri avevano corso con coraggio. Ma la sua riservatezza si rivelò ben presto capace di analisi profonde, offerte con la naturalezza di chi ha la visione chiara della Chiesa e del mondo.
Una sera apprendemmo che avrebbe lasciato gli incarichi ufficiali nel campo della pastorale vocazionale perché il cardinale Pappalardo gli aveva affidato una parrocchia di Palermo dove si sarebbe dovuto impegnare “a tempo pieno”. “Una di quelle parrocchie difficili!” ci disse col consueto sorriso sulle labbra. Qualcuno osò chiedergli se avesse paura di lavorare in un territorio dominato dalla mafia. Fu allora che chinò leggermente il capo e il suo sorriso si velò di tristezza. Quando, qualche anno dopo, il Killer “pentito” confessò che di fronte all’arma puntata Don Pino aveva detto “Me lo aspettavo!”, apparvero più chiare le parole che una volta ci aveva detto: “La testimonianza cristiana va incontro a difficoltà, può diventare martirio. Il passo è breve, anzi è proprio il martirio che dà valore alla testimonianza”.
(Vito Magno su www.avvenire.it)