Suore-di-clausura_da_uccronline05 Marzo 2013

La clausura in monastero

Una scelta di autentica libertà

Clausura e libertà, sembra un ossimoro. In realtà è soltanto una errata concezione della libertà, confusa banalmente con l’avere possibilità di scelta. Ma la vera libertà è il non dover più scegliere, perché si è già trovato quel di cui si ha davvero bisogno.

Per questa confusione, oggi, per molti è davvero difficile capire una scelta come quella della clausura, del monastero, come quella abbracciata da Benedetto XVI, papa emerito. Chi non capisce solitamente disprezza: sono persone che non servono a nulla, non aiutano nessuno, si negano al mondo e alle gioie della vita, scelgono di vivere in una prigione perché è troppo difficile vivere al di fuori, e così via con i luoghi comuni.

Interessante, seppur deformato da molto femminismo, a questo proposito l’articolo di Ritanna Armeni su Il Foglio sulle monache del monastero di Viboldone in occasione della imminente uscita del libro “Mentre vi guardo” (Einaudi Stile libero 2013) della badessa madre Ignazia Angelini.

Madre Ignazia rompe uno stereotipo, quello del convento come luogo separato, quasi romantico, nel quale la solitudine assurge a vetta dello spirito e la non contaminazione diventa obiettivo da perseguire nella quotidianità. Non è così. Non ci sono angeli misteriosi, ci dice madre Ignazia, donne chiuse in se stesse e nei propri pensieri. Non si fanno scelte eroiche ed eccezionali. Il libro racconta, nella sua concreta umanità, la vita di relazione, la cura degli oggetti, l’accoglienza. Racconta del manager che chiede conforto, della ragazza che non sa trovare se stessa, dei visitatori che cercano la quiete.

«Il portone del monastero – spiega la badessa – non serve a ripararci o a escludervi: ogni volta che qualcuno bussa viene aperto. Le mura del monastero non servono a dividere lo spazio fra interno ed esterno: a ben vedere, infatti, sono trasparenti. La comunità monastica non nasce per garantire l’isolamento, ma per cercare, ogni giorno, relazioni affidabili».

Il monastero è una vocazione, significa togliere l’effimero per far posto all’Altro, l’unico indispensabile, l’unico che dona davvero senso alla vita. Questa è la sola cosa che rende davvero liberi come spiega suor M. Raffaella Strovegli del Monastero di clausura delle Monache benedettine di Fermo (Marche): «Nel Monastero c’è quanto è necessario, non di più! “Il di più” ci distrae da Dio. Il godimento e l’apprezzamento delle cose che ci vengono date aumentano nella misura in cui abbiamo consapevolezza che ogni cosa ci viene affidata da Dio e non ne siamo padroni. Che libertà! Ecco perché la dimensione della gioia è una nostra caratteristica: quando non si è schiavi delle cose, si ha la gioia della libertà».

Madre Ignazia tocca anche il tema del sacerdozio femminile spiegando che le donne non devono cercare l’eguaglianza con l’uomo, non devono aspirare a diventare preti e tanto meno pontefici, non devono accedere al mistero in chiave di potere e assumere questo modello che “tra l’altro è già marcio”, anche perché “se una donna prende il potere nella maniera maschile fa ancora più danni”. Perfettamente in linea con il “testamento” di Benedetto XVI: «ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è Sua e non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto».

(Da www.uccronline.it. Clicca qui per andare all'articolo originale)