Febbraio 2013
Landevennec, un monastero tra l’oceano e il fiume
Quindici secoli di storia
Le rovine dell’antica abbazia e il suo museo conservano la memoria dei primi monaci, che qui fissarono la loro residenza, tra le acque della rada di brest e il fiume aulne, agli inizi del vi secolo. Vita austera, costumi monastici venuti dall’irlanda, che, dopo l’viii secolo, furono rimpiazzati dalla regola di san Benedetto e nel 818 il monastero divenne benedettino. Nel 913 fu distrutto dai normanni, risorse nel medioevo, ma conobbe nel xvi secolo la decadenza a motivo delle guerre. Agli inizi del XVII secolo il monastero di Landévennec è definito da dom noel mars “ il più bel soggiorno di francia” e un ospite del tempo così lo descriveva: “Potrei porvi il paradiso terrestre”. La vita del monastero si spegne al tempo dei lumi e sotto i decreti della rivoluzione. L’abbazia viene addirittura venduta. Dal 1950 al 1958 la rinascita. Accorrono in massa i pellegrini bretoni e il 7 settembre 1958 il nuovo monastero viene inaugurato dall’arcivescovo di rennes. Landévennec ancora una volta riparte con un consistente numero di monaci. Il monastero attuale ne può accogliere una sessantina. Oggi sono ventuno. Il monastero attira fedeli non solo bretoni, ma da ogni parte della francia. Soprattutto il 1° maggio, in occasione del perdono di san guénolé.
Il nuovo monastero è imponente. La chiesa può contenere centinaia di persone. Sono molti - soprattutto in primavera ed estate - quelli che seguono la giornata monastica, che inizia alle 4.50 con l’ufficio del mattutino e si conclude alle 20.30 con la compieta. Il salmodiare dei monaci incanta; l’esecuzione magistrale di inni e intercessioni attira i pellegrini. Landévennec è quattro case, che guardano l’ansa di pernforn e un monastero che affascina.
Perché si entra in monastero
Della vita monastica parlo con l’ex abate, fr. louis cochou, classe 1932, e il giovane maestro dei novizi, fr.Martin Jalabert. Entrano subito nel vivo del tema: il monachesimo nei nostri giorni che cosa rappresenta? L’ex abate: «Il monachesimo non è una chiamata istituzionale a vivere la vita comunitaria, che non è affatto l’elemento più importante nella scelta di questo tipo di vita. Chi intende diventare monaco non entra in un monastero perché attratto dalla comunità, ma perché si sente chiamato dal signore personalmente. La vita monastica è un appello personale che ha il suo centro nella dimensione interiore». Interviene fr. martin: «Io vengo da un seminario e ho avvertito l’appello a fare un’esperienza personale di cristo. Vorrei ribadire che i vantaggi della vita monastica ruotano attorno all’appello personale a condurre un’esperienza profonda di cristo».
L’ex abate ha qualcosa da aggiungere al riguardo. Si richiama alla riforma di papa Gregorio VII (1073-1085), il famoso monaco Ildebrando, che, volendo riformare la vita del clero, impose la vita monastica. «La chiesa ha bisogno di ministri, ma non si deve farli vivere da monaci. Il prete diocesano è per la comunità. Gregorio vii impose ai preti di vivere come i monaci, i quali rispondono all’appello personale del signore, mentre i preti diocesani rispondono all’appello della comunità. In riferimento al problema specifico del celibato, la chiesa di roma è terribilmente chiusa. Roma non vuole capire che i preti diocesani sono per la comunità».
Il maestro dei novizi è sempre in contatto con giovani, che visitano il monastero e anche con i giovani preti diocesani, che, a suo parere, pongono al giorno d’oggi più l’accento sull’aspetto personale che sull’aspetto comunitario. Da qui nasce l’attenzione quasi scrupolosa al servizio liturgico. «A chi chiede di diventare monaco, – osserva fr. martin – perché attratto dal fascino della liturgia, dico che non è sufficiente. Quel che conta veramente è che senta la chiamata personale. Le porto un esempio. Si è presentato un giovane dicendomi di voler fare un’esperienza al monastero, una specie di stage, ma non con la volontà di restarvi. Gli ho detto subito: il monastero non è per quelli che vogliono fare un’esperienza, ma per coloro che si sentono chiamati dal Signore».
Inutile rimpiangere il passato
Sia l’ex abate che il maestro dei novizi sono molto duri nei confronti di quelli che rimpiangono il passato, soprattutto nella liturgia. I benedettini, per la verità, negli anni pre-conciliari e durante il concilio, si sono battuti per la riforma liturgica. Sono noti i nomi di Beauduin, Nocent, Magrassi, Vagaggini, Lafont. Conosciuti sono monasteri e abbazie come sant’Anselmo, Chevetogne, Praglia, Pierrequi-vire, Belloc, en-calcat, Montserrat. Un uomo straordinario, come il card. Hume di Westminster, fu abate di aAmpleforth in Inghilterra.
Fr. Louis: «Il carisma dei benedettini è la conoscenza della storia. Se non la si conosce, si percorrono strade che conducono fuori della storia stessa. Si veda, ad esempio, il movimento di lefebvre. Fa pena e pietà. È un movimento che schiavizza. Nei monasteri si respira invece un’aria di libertà. La nostra vita monastica ci dà la libertà di pensare». Aggiunge fr. martin: «Il monachesimo ha le radici nella storia. Ci accompagna nello scorrere del tempo la parola di dio, che ci spinge a leggere e interpretare la storia, come dio vuole. La sua parola è viva e alla sua scuola si apprende ad ascoltare».
Landévennec è un luogo segreto, diceva nell’800 l’abate gurdisten. Si ha la sensazione che oltre il vasto parco non ci siano strade di comunicazioni, se non sentieri nel bosco. Si contempla la rada e si osserva il gioco delle maree. Regna il silenzio. Che cos’è il vaticano per questi monaci, che passano il tempo tra l’ora et labora ? Non so se dettata da tristezza o da una specie di intima indignazione l’affermazione di entrambi i miei interlocutori: «Non si può andare avanti con il progetto che solo il papa debba avere sulle spalle tutto il peso della chiesa, che debba essere competente su tutto e intervenire su tutto. Questa è una chiesa monarchica! Il grande p. louis bouyer volle terminare la sua vita di studioso lontano dagli apparati ecclesiastici proprio qui a landévennec».
Osservo giovani che bussano alla porta del monastero. Il maestro dei novizi: «Non sono molti quelli che dicono di avere sentito la chiamata personale. Non c’è ora nessun novizio al monastero. Il problema grosso è che i giovani non sono più nella chiesa. Non la conoscono. Vivono al di fuori. C’è chi confessa di pregare da solo senza fare riferimento alla vita di una comunità cristiana. C’è chi addirittura confessa di essersi stupito dell’esistenza del monachesimo nella chiesa cattolica. Pensava che esistesse solo nel buddhismo. C’è chi si dà una spiritualità tutta sua. C’è bisogno di spiritualità nel mondo giovanile, ma molti non sanno dove trovarla. È per questo che crediamo che i nostri monasteri abbiano oggi un’importanza storica. Si pongono al servizio della chiamata di dio».
È l’ora della preghiera. Dice la regola di san Benedetto: «All’ora dell’ufficio divino, appena udito il segnale, si lascerà tutto quello che si ha in mano e ci si affretterà a correre…».
(Francesco Strazzari, su Testimoni 1 del 2013)