Dicembre 2012
Identificare i carismi
Criteri teologici ed ecclesiali per discernere le nuove forme di vita consacrata e di aggregazioni.
Paolo, i Padri della chiesa, il medioevo
Il percorso proposto si muove soffermandosi su alcuni snodi storici: la comunità paolina nel nt, il montanismo nell’età del padri della chiesa, la prospettiva medievale, i documenti conciliari, il magistero postconciliare fino a Benedetto XVI.
Come è noto, il termine carisma è impiegato da Paolo nella lettera ai Corinti (1Cor 12-14) e non ha una trattazione sistematica, poiché l’apostolo delle genti scrive le sue lettere per risolvere questioni particolari vissute dalle sue comunità. Nel caso di corinto, il problema dei carismi è capire se è una questione elitaria o ha una portata ecclesiale. paolo è molto chiaro: ogni dono di dio è per l’utilità comune e non può essere vissuto in modo isolato o in contrapposizione (una mano non può fare a meno del piede). Nella visione di paolo non esiste contrapposizione tra istituzione e doni personali. Sarà nell’epoca successiva, quella patristica, che emergerà il bisogno di correggere i carismi personali. Il caso del montanismo è eclatante. L’autore approfondisce questa dottrina per evidenziare come la conformità dottrinale e il desiderio di rinvigorire la fede non è sufficiente se accompagnata da un eccessivo rigorismo morale e se chi possiede un carisma rifiuta la mediazione dell’autorità ecclesiale: «occorre dubitare del fondamento carismatico di un’aggregazione o di una forma di vita consacrata che mostra un’evidente e diffusa svalutazione della mediazione ecclesiale tradizionale della rivelazione e della visione di fede che da essa deriva, a vantaggio di una propria comprensione alternativa del cristianesimo» (p. 41). Nei secoli successivi, tuttavia si è compreso il carisma in base alla sola ortodossia dottrinale (p. 54).
Dal Vaticano II ad oggi
L’autore si sofferma poi sui testi conciliari (lumen gentium 12, apoapostolicam actuositatem 3) e sul magistero postconciliare (mutuae relationes), sinodo sui laici del 1985, giovanni paolo ii, benedetto xvi. I testi conciliari, conclude nardello, affermano che i carismi sono doni comuni e diffusi e pertanto vanno valorizzati e diffusi. Il criterio di discernimento è «l’utilità per la chiesa». Il magistero postconciliare approfondisce e chiarisce tale principio. Scrive l’autore: «un carisma è un dono che lo spirito fa a un credente e che è funzionale alla sua santità personale, al suo servizio ecclesiale e alla sua testimonianza nel mondo» (p 94).
Conclusioni e alcune perplessità
Nelle conclusioni, si afferma che l’identità carismatica delle forme di vita consacrata poggia su due criteri: comunionale e profetica. In altre parole, l’insegnamento del fondatore deve essere una rilettura della fede della chiesa in comunione con il magistero e non segno di frattura con essa. In secondo luogo, dal punto di vista teologico, l’autore pone sullo stesso piano vita consacrata e movimenti. Infine, viene ribadito il principio che l’istituzione è carismatica.
Se condividiamo sostanzialmente tali posizioni, ci pare rimangano aperte almeno due questioni. Prima di tutto, la netta equiparazione tra carisma nelle nuove forme aggregative e vita consacrata: dovrebbe essere meglio approfondita sulla base anche dei documenti che il magistero ha prodotto specificatamente e di cui non si fa alcun cenno nel volume. In secondo luogo, anche l’istituzione per essere fedele al suo carisma deve essere di continuo sottoposta a discernimento e non dare questo troppo per scontato.
(sergio rotasperti, su testimoni 20 del 2012)