europa-radici-cristianeNovembre 2012

La vita consacrata e il futuro del Continente europeo

I religiosi e l’Europa

Mentre l’Europa cerca se stessa, i religiosi affrontano la sfida della secolarità e del futuro. Quale discernimento sulla cultura, quali strumenti di governo per un contesto continentale e quali forme di testimonianza per un ambiente ormai post-cristiano?

Vita consacrata e Europa: i due termini hanno una diversa consapevolezza nel vissuto dei consacrati. Essi conoscono bene le sfide, le difficoltà e le possibilità della vita religiosa. Come anche la ricerca di una nuova definizione della loro identità dopo il Vaticano II. Percorso non ancora terminato e assai tormentato. Ma l’incertezza sul loro futuro ecclesiale è minore di quella che riguarda l’Europa di oggi, ciò che il continente vuole essere. L’Europa potrebbe sparire. Potrebbe implodere l’intero progetto dell’Unione Europea. Potremmo tornare a dividerci fra nazioni e popoli. E a non contare più nulla a livello mondiale. Il continente potrebbe diventare quello che Klemens von Metternich, cancelliere di stato dell’impero austroungarico, disse dell’Italia nel contesto del Congresso di Vienna (1814-15): «un’espressione geografica».
Nella crisi economico-finanziaria della zona euro è in gioco la stessa sopravvivenza dell’Unione Europea e, conseguentemente, di ciascuno dei paesi che la compongono. L’attacco speculativo avviato all’inizio dell’estate e ancora in atto è stato tamponato per l’azione della Banca Europa (Mario Draghi) e la decisione del nuovo presidente francese, F. Hollande, di condividere con Italia e Spagna il contrappeso al ruolo crescente della Germania. Scommettere sul fallimento dell’euro significa scommettere sul fallimento dell’Europa. La crisi economico-finanziaria avrebbe una portata essenzialmente politica. Le parole tecniche della finanza nella loro precisione analitica nascondono il significato politico, cioè reale, simbolico e morale di quello che accade. In gioco è un sistema economico retto da libertà fondamentali che sono il portato di secoli. In gioco è un modello sociale e politico di democrazia che abbraccia l’intero rapporto uomo-società-politica.
La Chiesa cattolica dopo avere per molti decenni sostenuto con forza il progetto di unificazione continentale si è fatta più reticente. Il sostegno dei papi (da Pio XII a Paolo VI, a Giovanni Paolo II) non è mai venuto meno, ma da molti mesi il riferimento all’Europa sembra scomparso, eccetto che per il Comece (Commissione degli episcopati della comunità europea) e poche altre voci. La reticenza è dovuta alla percezione della progressiva distanza dai valori originali. Come diceva il card. J. Ratzinger a Subiaco, l’Europa «che un tempo, possiamo dire, è stato il continente cristiano», sviluppa oggi «una cultura che, in un modo sconosciuto prima d’ora all’umanità, esclude Dio dalla coscienza pubblica, sia che venga negato del tutto, sia che la sua esistenza venga giudicata non dimostrabile, incerta, e dunque appartenente all’ambito delle scelte soggettive, un qualcosa comunque irrilevante per la vita pubblica» (cf. Regno-doc. 9,2005,215). Ma pure in un contesto difficile è necessario non perdere di vista la responsabilità per il cammino comune, per la vita democratica come per il compito dell’insieme delle Chiese oggi.

Prova di trazione
Come aiutare l’Europa senza rinunciare alla denuncia critica? È quello che si è chiesto don Pascual Chávez, rettore maggiore dei Salesiani, introducendo l’assemblea dell’Unione superiori generali (USG) nel maggio del 2010. Una delle preoccupazioni maggiori, ha detto, nasce dalla convinzione che tra il cattolicesimo e i principi in cui si riconosce l’Europa come istituzione «esiste un’incompatibilità sostanziale». Ma che la vita consacrata e monastica abbiano in ogni caso qualcosa da dire lo conferma Benedetto XVI per il quale il monachesimo non è solo all’origine dell’Europa, ma è anche il suo futuro. La convinzione è evidente fin dal discorso a Subiaco. Le insormontabili contraddizioni della modernità espresse dal relativismo, dallo scientismo e dal soggettivismo sono superabili solo dando di nuovo plausibilità all’ipotesi Dio (veluti si Deus daretur), ripetendo l’impresa del monachesimo. Conclusioni del tutto similari sono contenute nel discorso a Parigi nel settembre del 2008, rivolto al mondo della cultura: «Del monachesimo fa parte, insieme con la cultura della parola, una cultura del lavoro, senza la quale lo sviluppo dell’Europa, il suo ethos e la sua formazione del mondo sono impensabili. Questo ethos dovrebbe però includere la volontà di far sì che il lavoro e la determinazione della storia da parte dell’uomo siano un collaborare con il Creatore, prendendo da lui la misura. Dove questa misura viene a mancare e l’uomo eleva se stesso a creatore deiforme, la formazione del mondo può facilmente trasformarsi nella sua distruzione».
L’approccio al compito evangelizzante della vita consacrata in Europa parte dalla conoscenza della diversità delle sfide della secolarizzazione nelle diverse aree del continente. Se è evidente che la questione religiosa si pone a livello mondiale l’attuale consapevolezza del magistero identifica il nocciolo della sfida proprio nel continente. Sempre nel discorso a Subiaco J. Ratzinger diceva: «Se il cristianesimo, da una parte, ha trovato la sua forma più efficace in Europa, bisogna d’altra parte anche dire che in Europa si è sviluppata una cultura che costituisce la contraddizione in assoluto più radicale non solo del cristianesimo, ma delle tradizioni religiose e morali dell’umanità. Da qui si capisce che l’Europa sta sperimentando una vera e propria “prova di trazione”; da qui si capisce anche la radicalità delle tensioni alle quali il nostro continente deve far fronte. Ma qui emerge anche e soprattutto la responsabilità che noi europei dobbiamo assumerci in questo momento storico».

Laicità e secolarizzazione
Il contesto europeo si mostra molto diversificato. Si possono infatti distinguere i paesi cattolici di laicizzazione (azione promossa direttamente dallo stato: come Italia, Spagna, Portogallo, Francia, Austria, Irlanda, Lussemburgo e Malta; all’elenco vanno aggiunti i paesi postcomunisti come Ungheria, Lituania, Polonia, Cechia, Slovacchia e Slovenia), dai paesi protestanti (secondo un processo sociale e individuale che vede Chiese e stato accettare la progressiva secolarizzazione della vita civile: come Inghilterra, Danimarca. Finlandia, Norvegia e Svezia), dai paesi biconfessionali (con soluzioni di coabitazione molto diverse: come Germania, Olanda, Svizzera, Estonia e Lettonia). A questa tripartizione vanno ora aggiunti i paesi di tradizione ortodossa (Bulgaria, Cipro, Grecia e Romania) e islamica (Bosnia-Erzegovina, Albania, Kossovo e, in futuro possibile, la Turchia) (cf. B. Massignon – V. Riva, L’Europe, avec ou sans Deiu? Héreditages et nouveaux défis, De l’Atelier, Paris 2010)
I processi di secolarizzazione si sviluppano a tre livelli. A livello di società globale si produce una progressiva perdita di consenso e di efficacia della religione (legittimità politica democratica, autonomia dell’economia e della cultura, perdita dell’evidenza sociale dei valori religiosi). C’è una secolarizzazione che interessa un livello medio e cioè le stesse istituzioni e gruppi religiosi. Il credere diventa una scelta e non una eredità, pratiche fusionali e puntuali sostituiscono quelle della consuetudine, al parrocchiano si sostituisce il pellegrino e il convertito. Infine c’è un livello micro. Le credenze diventano individuali, soggettive, sempre meno legate alle grandi istituzioni religiose. L’Europa si sta caratterizzando per una secolarizzazione pluralista, le diverse identità religiose si accompagnano a una visione non esclusiva della verità. Si sperimentano appartenenze doppie o successive. A orientamenti religiosi che perseguono una restaurazione confessionale si affianca una religiosità fluttuante, poco prescrittiva, aderente al moderno. Fra il 1981 e il 1999 l’appartenenza religiosa è calata in Europa dall’85% al 75% (per i cattolici dal 55 al 49%, per i protestanti dal 29 al 22%, i senza religione dal 13 al 24%). Un declino particolarmente evidente se si considerano le età: quelli oltre i 60 anni si dichiarano religiosi per l’85%, mentre le generazioni più giovani lo sono per il 50%. Appaiono nuove figure come quelli che credono senza appartenere alle Chiese e quello che dichiarano una appartenenza senza credere (il caso polacco). Il declino delle appartenenze religiose è più forte nei paesi con religioni di stato come l’Inghilterra e i paesi scandinavi (ma non la Grecia), più pronunciato nell’area protestante che in quella cattolica.

Opportunità del postmoderno
Ma il post-moderno è davvero incompatibile per il cristianesimo e la testimonianza della vita consacrata? Forse, dai tempi della peste in Europa a metà del XIV secolo, mai la società è stata così bisognosa di una speranza come la nostra. Lo sottolinea spesso l’ex maestro generale dei domenicani, Timothy Radcliffe (cf. www.queriniana. it/blog n. 184), che invita a ereditare alcune conquiste del moderno e, soprattutto, ad approfittare del superamento di alcune delle sue false evidenze o pregiudizi divenuti generali. Come, ad esempio, la contrapposizione fra tradizione e progresso. «Per essere illuminati era necessario liberarsi dal passato, in modo particolare dalla filosofia di Aristotele e dei dogmi della Chiesa cattolica. Così la Chiesa è stata vista come una istituzione che per natura sua era contraria alla modernità. La Chiesa, spesso, ha commesso l’errore di accettare supinamente questa immagine, invece di mettere in discussione le categorie che la tenevano intrappolata al passato… Così la Chiesa è stata vista spesso come necessariamente contraria alla democrazia, alla libertà e alle nuove acquisizioni scientifiche ». Il tramonto del moderno nel post-moderno consente al cattolicesimo di mostrare il senso vitale della tradizione e l’opportunità di alimentarla nella dinamica interazione con la cultura postmoderna. Un secondo pregiudizio superabile è la presunta contraddizione fra obbedienza e libertà, fra docilità e autonomia. Nel pensiero illuminista si assume come vero solo ciò che ciascuno sperimenta, quanto si è personalmente compreso o inventato. Significati, valori, descrizioni o istruzioni che vengono da altri avranno inesorabilmente sul singolo un vincolo di inibizione se non di schiavitù. Anche la verità di Dio, forse soprattutto questa, non fa eccezione alla regola. Solo schiavi e bambini possono essere oggetto di insegnamento. Il superamento di questo pregiudizio rende necessario comprendere la dimensione dialogale dell’insegnamento di Gesù. L’intero Vangelo può essere riletto come una conversazione esplorativa e ininterrotta. Ma la Trinità stessa è l’eterna, uguale conversazione di un Dio non dominante. Conseguentemente l’insegnamento, la predicazione, la discussione pubblica dei credenti deve assumere questo tratto del dialogo, contrariamente a quanto si attende una parte, oggi particolarmente armata e convinta, del mondo cattolico.
Un terzo elemento della tradizione illuminista è ormai visibile nella sua insufficienza. È la cultura del controllo. Rispetto alla relativa libertà e confusione del Medioevo, la monarchia assoluta, lo stato, la polizia, gli eserciti, l’amministrazione pubblica hanno prodotto e perseguito un crescente controllo su molti aspetti della vita. Il fenomeno Internet e le biotecnologie alzeranno ulteriormente la possibilità del controllo sociale. Ma vi sono segnali che consacrata. Essa è una risorsa morale e spirituale che può far maturare la laicità esclusiva in laicità accogliente rafforzando quelle oasi spirituali ove la domanda di senso e il patrimonio simbolico evangelico abbiano riconoscimento. vanno in senso contrario. Il ruolo di Internet nelle recenti rivolte nei paesi arabi e molti aspetti delle nostre società dicono la crescente difficoltà di intendere la società come un meccanismo soggetto a totale regolamentazione. Di contro alla tradizionale cultura del controllo, che la Chiesa ha fatto sua, si apre la possibilità che la Chiesa inverta la spinta al controllo e alla centralizzazione, aiutando le comunità cristiane e i credenti a recuperare la gioiosa spontaneità che il Nuovo Testamento racconta. C’è bisogno che questa creatività abbia corso fra i laici, fra le donne, nelle Chiese locali, nelle comunità.
Un quarto pregiudizio illuminista può essere oggi archiviato, quello che identifica la morale con la norma, invece di identificarla con la virtù. Molti cattolici hanno assimilato dalla tradizione illuminista la concezione di una vita morale che è fatta sostanzialmente di controlli, obblighi  e proibizioni. Il rinnovamento della riflessione sulle virtù in atto sull’intero quadrante dell’Occidente permette di andare oltre il confine del moralismo volontaristico. «È praticando le virtù cardinali della prudenza, fortezza, temperanza, giustizia che noi possiamo diventare pellegrini sulla via della santità. Con le virtù teologali di fede, speranza, carità noi possiamo sperimentare un assaggio della fine del nostro cammino» (T. Radcliffe).

Il discernimento comune
Cosa significa l’Europa nella coscienza della vita consacrata oggi? Parlando all’Unione internazionale delle superiore religiose (UISG) nel dicembre 2008, suor Thérése Browne, superiora generale delle Suore della carità di san Paolo apostolo, ricordava anzitutto il tema della crisi. «La vita religiosa, specialmente nell’Europa nord-occidentale, sembra essere nella stagione autunnale o invernale così come si sperimenta nell’emisfero boreale». Contrazione numerica, aumento dell’età media, mancanza di vocazioni, grandi strutture inutilizzate, ritiro da servizi importanti ecc. «Alcuni religiosi hanno un senso della fatalità al punto da perdere, a volte, il coraggio, sentendo che la loro congregazione sta morendo e temendo un futuro pieno di incognite». Nello stesso anno, p. Jean Claude Lavigne illustrava all’Unione delle Conferenze europee dei superiori maggiori (UCESM) alcuni elementi rilevanti della vita consacrata in ordine al vissuto europeo contemporaneo. Anzitutto la forza. Non quella dei potenti, ma della fraternità, quando un religioso si prende seriamente cura dei bisogni dell’altro. Poi l’importanza dei legami, delle relazioni profonde che si stabiliscono all’interno di una comunità religiosa. E ancora, la ricerca della verità. Oltre la demagogia, la manipolazione e lo scetticismo, il religioso che vive della Parola sa di poter attingere a una verità definitiva. La generosità della scelta di vita costituisce un antidoto prezioso alle molte forme di egoismo e inconsistenza ampiamente diffuse. Ma è soprattutto la spiritualità a costituire un prezioso apporto della vita consacrata al nostro continente. Sulla stessa onda, mons. Joseph Tobin, attuale segretario della Congregazione per i religiosi, ricordava all’UCESM nel marzo di quest’anno tre imperativi per la vita consacrata europea: quello dell’obbedienza, in conseguenza dell’ascolto della Parola e della storia; quello di una professionalità vocazionale che va oltre i dettami delle identità lavorative; quello dell’alleanza che nell’amore di Dio e del prossimo custodisce e alimenta la bellezza della radicalità cristiana.
L’Unione superiori generali (USG) ha elaborato la piattaforma più consistente in ordine alla collocazione della vita consacrata nel continente in due assemblee semestrali del 2010. La cultura civile del continente è identificata nel «capitalismo tecno-nichilista»: «un modello di accumulazione economica che, in questa fase storica, fa dipendere la crescita sempre più direttamente dalla capacità di innovazione tecnica e che, di conseguenza, necessita di una cultura nichilistica (cioè non resistente) per disporre liberamente di qualsiasi significato in modo da non avere ostacoli di sorta al suo pieno dispiegamento» (Mauro Magatti). Una spirale nichilista che non ha l’aspetto aggressivo, ma quello sorridente di chi smonta e sminuisce il deposito simbolico senza mai farsi carico di alimentarlo. Per uscirne è necessario fare forza su elementi di sussidiarietà già presenti nell’Unione europea, cioè dare spazio, fra Unione e stati, alla società civile del continente entro cui proporre l’azione della vita consacrata. Essa è una risorsa morale e spirituale che può far maturare la laicità esclusiva in laicità accogliente rafforzando quelle oasi spirituali ove la domanda di senso e il patrimonio simbolico evangelico abbiano riconoscimento.

La rinascenza
È il contributo a quella capacità di «rinascenza» che Rémi Brague riconosce come genialità propria dell’Europa. Dono, gratuità, rete, ricerca di saggezza alimentano la nostra «scelta di una vita parca e impegnata» che deve continuare ad essere «una proposta alternativa e promettente. A condizione che si tratti di una vita consacrata vissuta con gioia». «È fondamentale testimoniare che il fatto di essere stati afferrati dal Dio vivente per una missione esigente porta a una vita in pienezza» (fr. Mauro Jöhri). Se p. Adam Zak ricordava il contributo dei religiosi nelle società dell’Europa dell’Est (difesa dei diritti, forza dei martiri, coraggio del perdono), una laica irlandese, Judith King, riassumeva così le indicazioni per il futuro: attenzione all’essere piuttosto che al fare; capacità di organizzare le persone in modo non patriarcale, non autoritario, non razzista; evidenziare la dimensione contro-culturale della vita consacrata; la ricerca teologica; divenire luoghi di spiritualità; scelta dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso.
La questione non è quella di sopravvivere, ma di essere profeti. Di essere più umili, riconoscendo gli errori (scandali sessuali, compromessi con il potere, impotenza spirituale), ma anche più orgogliosi («Siamo stati sorpresi che osservatori non religiosi potessero essere più ottimisti sul nostro conto di quanto non ne fossimo noi stessi»; p. Wihlelm Steckling). Fra i compiti da confermare: offrire a Dio il posto centrale nella vita; rispondere alla richiesta di maggiore comunione; guardare con simpatia alle nuove culture; scegliere i poveri e difendere l’ambiente; rafforzare l’apertura mondiale-cattolica nonostante il calo numerico. Lasciatemi sognare, ha concluso p. José Carballo: «Sogno una vita consacrata europea che assuma la chiamata alla minorità, tanto dal punto di vista personale che istituzionale; sogno una vita consacrata europea che scommetta sulla qualità più che sulla quantità; sogno una vita consacrata europea che scelga la missione di essere lievito, fermento, profezia e segno, sentinella sulle mura, tromba all’alba, vigilante nella notte, faro in lontananza: sogno una vita consacrata in Europa che privilegi il simbolico rispetto all’efficace; sogno una vita consacrata in Europa che anteponga il rinnovamento profondo alla sopravvivenza, la rifondazione delle persone alle strutture; sogno una vita consacrata in Europa più vicina a Gesù e più vicina agli uomini».

Progetto Europa
Come stanno reagendo le famiglie religiose alla nuova Europa? Seguendo le attività di una decina di famiglie religiose maschili (Salesiani, Minori, Gesuiti, Verbiti, Scolopi, Fatebenefratelli, Paolini, Camilliani, Dehoniani, Cappuccini) la cifra comune sembra essere: un «progetto Europa». Per alcuni, come i salesiani, è una strategia condivisa, per altri è un auspicio, per altri è un temine non usato consapevolmente e tuttavia evocato come ambito. A questo sembra portare il policentrismo innestato dalla globalizzazione e il protagonismo dell’Unione Europea, ma anche pratiche ecclesiali come la celebrazione dei sinodi continentali sotto Giovanni Paolo II o emergenze spirituali come la desertificazione cristiana in atto in Europa. Ma è anche frutto della dislocazione mondiale della vita consacrata. Essa mette radici per la prima volta nella storia fuori del quadrante europeo e questo ridefinisce lo spazio della vita religiosa in Europa: dalla scelta dei superiori maggiori, spesso non europei, alla formazione di comunità multiculturali, dalla doppia direzione della missione (ad gentes e intra gentes) al cosiddetto «progetto Europa».
Con evidenti difficoltà: da quelle canoniche (gli organismi di governo rispondono ai territori locali o nazionali e al governo generale; non sono previste strutture a livello continentale) a quelle storiche (l’Europa custodisce il patrimonio carismatico di tutte le famiglie religiose maggiori). Fino alle barriere linguistiche.
La nascita e la formazione del progetto risponde ad esigenze diverse. Per alcuni si tratta di una estensione di genialità carismatiche già presenti. È il caso dei Gesuiti che hanno un ufficio europeo fin dal 1956 e che celebrano conferenze dei provinciali fin dal 1972. La loro tradizionale attenzione alle élites è visibile nell’intento dell’ufficio europeo (OCIPE) di discutere e approfondire «la visione fondamentale che sta dietro la costruzione dell’Europa Unita». Così per i Paolini che affidano al «gruppo Europa» «l’obiettivo generale di pensare e operare per diventare un editore unico multimediale paolino». In altri casi l’attenzione all’Europa si produce per assonanza con quanto succede altrove. I Fatebenefratelli, a conclusione della terza conferenza europea nel 2008, richiamano la necessità che il continente «sviluppi un nuovo senso di comunione tra le provincie» come succede nelle altre grandi regioni. E i Camilliani ironizzano: abbiamo le risorse finanziarie in occidente e quelle umane altrove. Di rilievo è anche l’attrazione che il processo unificante del continente esercita. È registrato dai Francescani minori che nella nona assemblea dell’Unione frati minori d’Europa (2010) chiedono di «costruire relazioni con le istituzioni europee» e un «rappresentante» permanente presso di esse. Mentre gli Scolopi nell’incontro dei superiori maggiori europei a Varsavia nel 2006 fanno propri i valori delle istituzioni, ma chiedono di andare oltre la retorica per aprirsi alla dimensione trascendente. Dopo aver elaborato un «progetto Africa» i salesiani aprono un «progetto Europa» come compito proprio nel 2009. Le tre scelte prioritarie sono la «rivitalizzazione endogena della presenza salesiana», «la ristrutturazione delle presenze in base a criteri di significatività» e «l’accoglienza cordiale dei salesiani di altre regioni».

I tratti comuni
Sono molti gli elementi comuni che attraversano le ricerche delle famiglie religiose. Il giudizio complessivo sul clima culturale e sociale europeo richiama spesso i testi dei sinodi continentali e i resoconti dei superiori regionali o provinciali. Con l’attenzione alle involuzioni laiciste di alcune forze operanti a Bruxelles, ma senza ignorare i valori condivisi della laicità e della modernità. L’urgenza dell’evangelizzazione si coniuga con l’attenzione ecumenica e il dialogo interreligioso in ragione del fenomeno delle immigrazioni (Dehoniani, Francescani Minori, Verbiti, Scolopi ecc.). Sul versante interno alle congregazioni si sottolinea l’opportuna preparazione (Minori e Gesuiti), l’animazione e le resistenze (Salesiani, Gesuiti), la revisione delle presenze e le comunità multiculturali (Salesiani, Verbiti), la disponibilità al cambiamento e la collaborazione (Cappuccini e Paolini), il superamento delle divisione e la determinazione dei compiti (Minori, Scolopi). Convergente anche l’attenzione alla formazione iniziale che abbia un respiro continentale (salesiani, minori, verbiti, camilliani) e l’attesa di strutture di governo (d’intesa con le attuali) adatte al continente (Salesiani, Minori, Gesuiti, Verbiti, Scolopi). Ciascuna famiglia cerca di identificare una o più opere che abbiano rilievo europeo e in cui convergano le risorse di tutti. Molto condiviso anche il richiamo al laicato che collabora nelle istituzioni religiose. Infine, l’esigenza di una lingua comune. È sollevato da tutti. I gesuiti hanno fatto espressamente la scelta dell’inglese.

Segni dei tempi e dei luoghi
Il declino non è un destino e l’Europa è una possibilità. P. José Maria Vigil ha scritto su Christus (gennaio 2005): «Se non sopravviene un cambiamento profondo, entro una o due decine di anni, c’è il rischio di un’estinzione vera e propria dei religiosi nati in Europa». E aggiunge: «è giunto il momento di dire che anche quello che sta accadendo in Europa ha acquistato una rilevanza teologica e un significato religioso da meritare che il cristianesimo mondiale guardi a questo continente e veda in questo specchio l’approssimarsi di quello che potrà essere anche il suo futuro». Il pericolo per il continente è reale, ma la secolarizzazione europea non è il destino di tutti. Insufficiente è anche la convinzione che la preziosa crescita della vita consacrata negli altri continenti renda trascurabile la sua presenza in Europa. Per l’enorme deposito carismatico la fine della vita religiosa in Europa sarebbe un gravissimo pericolo per tutti. Conseguentemente la permanenza e il rinnovamento dei religiosi nel vecchio continente sono decisivi. Oltre i «segni dei tempi » vi sono i «segni dei luoghi».
Con quale forma e vitalità? Come religiosi e religiose dobbiamo passare dall’ottica delle opere e dei numeri a quella dei «segni» e della rete. Non ci viene chiesto di continuare una presenza massiccia nelle nostre Chiese locali come la tradizione ci ha consegnato. Ci viene chiesto di seguire con generosità e in anticipo i segni dei tempi e dei luoghi che la Chiesa intuisce, e farlo nella disponibilità all’aiuto reciproco, alla comunicazione profonda, alla consapevolezza di formare come corpi religiosi e come vita consacrata una rete di presenze. Un segno efficace può essere un’opera educativa, ma anche una presenza discreta e permanente, può essere un servizio mirato e occasionale come una convivenza interculturale, può essere vissuto in un luogo solitario come nel centro della città. «La vita consacrata non rappresenta solamente una sorta di lettura spirituale della Scrittura, ma anche  una delle interpretazioni più autentiche, poiché vi si attesta come, così come afferma Ignazio di Loyola alla fine degli Esercizi spirituali, l’amore debba collocarsi più nello stile che nelle parole. Ciò significa che questa tradizione ecclesiale è capace di ispirare non solo quelli e quelle che vi partecipano, ma ancora gli altri stati di vita che essa continua a confermare» (N. Hausman).

(Lorenzo Prezzi, su Testimoni 18 del 2012)