Novembre 2012
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P. Ruiz Garnica ai provinciali dei Servi di Maria

Bisogna ripartire da Cristo

Importanza del primato di Dio, centralità di Cristo nella vita, vita fraterna e comunitaria, la missione e il carisma vissuto, pastorale dei fratelli in particolare necessità e la dedizione a Maria.
Questi i punti sottolineati.

L’elezione dei nuovi superiori in ogni istituto è sempre accompagnata da aspettative, curiosità, interesse, lamentele. Di questa situazione si è reso interprete anche p. Ángel M. Ruiz Garnica, priore generale dei Servi di Maria, in una lettera ai superiori provinciali, in data 15 agosto 2012, per l’inizio del nuovo triennio di servizio.
Prima di entrare in alcuni temi specifici, ha chiarito subito che «accettare di essere priore, stare a capo di una comunità di uomini riuniti nel nome del Signore Gesù, significa soprattutto accettare il fatto che siamo chiamati a riaffermare la nostra fede e le nostre convinzioni vocazionali come uomini, come cristiani e come consacrati».
È fondamentale – scrive – avere coscienza che «siamo stati eletti solo per servire», e che essere servitori degli altri significa che «non stiamo al di sopra di nessuno. Tutti siamo e ci chiamiamo Servi e tutti, in quanto fratelli, abbiamo la stessa dignità e siamo uguali tra noi». Partire in questo servizio con il piede giusto aiuta a «servire più liberamente e non attendere sempre gratificazioni o consensi unanimi da parte degli altri solo per sentirci bene».
Forte dei suoi undici anni di esperienza di governo, il superiore generale invita i superiori provinciali a dialogare con i rispettivi consigli su alcuni aspetti che ritiene prioritari nel servizio all’ordine.

Alcuni punti fermi del servizio
Importanza del primato di Dio nella nostra vita. «Ho l’impressione – afferma p. Ruiz – che molte volte dimentichiamo di essere “uomini di Dio”… che dobbiamo parlare agli altri di Dio, partendo soprattutto dalla nostra esperienza di vita. La vita di preghiera, lo studio e la riflessione sulle “cose di Dio” non devono essere temi estranei al nostro compito di priori. Abbiamo bisogno di Dio come pure di sentirci amati, guidati e protetti da Dio. Ogni giorno dobbiamo dedicare uno spazio personale alla preghiera. Non basta la preghiera comunitaria. È essenziale crescere nell’intimità con Dio, aumentare la nostra passione per Lui, lasciare che egli irrompa nella nostra vita e che impariamo a fare la sua volontà, non la nostra».
La dimensione del mistero va continuamente vissuta e riscoperta come fondamento di tutto. «Penso che la pratica della lectio divina quotidiana può aiutarci a maturare in questa dimensione. La lectio divina è una lettura orante della Scrittura che ci pone in contatto con Dio, ci rende disponibili e ci aiuta a interpretare i segni dei tempi e a essere “attenti ai suoi richiami nel nostro intimo, negli uomini, negli avvenimenti e in tutto il creato”».

Centralità di Cristo nella nostra vita. Se «la sequela di Cristo è la nostra regola suprema – continua p. Ruiz – bisogna ripartire da Cristo, centrare la nostra vita su Cristo. Non dimentichiamo che siamo una fraternità riunita nel nome del Signore e che dobbiamo muoverci in questo contesto cristocentrico di fede e di gioia, di amore e di convinzione».
Tutto – problemi, relazioni, ricerca del bene comune – deve essere sempre esaminato con gli occhi della fede in Cristo, «ragione della nostra speranza e del nostro stare insieme». È certo molto bello dire che la vita consacrata è presenza dell’amore di Cristo in mezzo all’umanità, «ma per noi questa è una grande sfida, perché significa che dobbiamo mostrare i tratti della vita di Cristo attraverso la nostra vita, i nostri gesti, i nostri atteggiamenti, i nostri sentimenti, il nostro modo di pensare e di vedere le persone e le cose». Le domande che fece ai suoi discepoli duemila anni fa, Cristo le fa a ciascuno di noi: “La gente, chi dice che io sia? Ma voi, chi dite che io sia?” (Mt 16, 13.15). «Il Signore vuole “strappare” da noi una risposta di fede: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente, però vuole anche una risposta esistenziale, una risposta di amore: Tu sei la ragione della mia vita, tu sai che ti voglio bene (cf. Gv 21, 17). E allora sì, potremo pascere le sue pecore».

Vita fraterna, vita comunitaria. Esistono bellissime pagine sulla vita fraterna – constata p. Ruiz – su “com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme”. «Quanta fatica, però, per realizzare questo ideale, quanti problemi sciocchi, quanti atteggiamenti di contro-testimonianza». ’individualismo eccessivo e una falsa libertà «ci ha indotto a interpretare la nostra vita come ci pare, e ognuno fa quello che vuole perché pensa, in fin dei conti, di aver ragione». Per poi meravigliarsi «delle defezioni, degli extra-claustra che si moltiplicano, delle incardinazioni di alcuni fratelli che non hanno saputo essere Servi e per i quali non ci siamo mostrati Servi neppure noi». La risposta a tali inconvenienti può essere solo comunitaria: «incentivare l’umiltà e la semplicità in ciascuno di noi». Ed esorta: «Non abbiamo paura di non apparire, di non eccellere al di sopra degli altri. Non abbiamo paura di essere fratelli che credono insieme, che lottano insieme, che condividono, insieme, una stessa vocazione e un bellissimo e attuale carisma. Se la vita fraterna è davvero una delle caratteristiche dei Servi, sforziamoci perché sia una verità e gli altri, solo a guardarci, possano dire “vedete quanto si amano” (cf. Gv 13, 35)».

Missione e carisma
La nostra missione, il nostro carisma vissuto. A partire dalla constatazione che «il compito dell’evangelizzazione nella Chiesa non è monopolio di nessuno, ma appartiene a tutti i battezzati », p. Ruiz ammonisce circa una tendenza alla pigrizia e indifferenza, «con il pretesto di essere fedeli alla vita comunitaria». E richiama a una vita che esprima il carisma. «Tuttavia perché esso sia credibile e fattibile, dobbiamo “mostrarci”, dobbiamo esercitare la nostra spiritualità, dobbiamo vivere e servire ispirandoci a santa Maria e, pertanto, essere accoglienti, disponibili e pronti a rispondere a chi ci chiama, desiderosi di servire soprattutto gli ultimi, poveri e indifesi». Cogliendo il momento storico che si trova a vivere la Chiesa, esorta i suoi religiosi: «approfittiamo dell’Anno della Fede che il papa Benedetto ha indetto. Sappiamo che viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti e tensioni e di perdita di punti di riferimento. Un’epoca che ha bisogno di servi buoni e fedeli che non fanno altro che ciò che devono fare. E tutto questo, fratelli, facciamolo in comunione con la Chiesa, con il nostro papa, in comunione con tutto l’ordine, con la Famiglia dei Servi e Serve di Maria sparsi nel mondo».

Cura fraterna e pastorale dei nostri fratelli che si trovano in situazioni particolari. «Penso a molte e varie categorie di situazioni. Penso ai fratelli anziani, agli infermi, a quelli che soffrono nell’anima e nel corpo, a quelli che vivono in case di assistenza sociale, a quelli che non riescono a sanare le ferite del passato, a quelli che sono in crisi per diversi motivi, a quelli che vivono amareggiati e delusi, agli scontenti, ai pessimisti, a coloro che hanno commesso qualche tipo di abuso, ai sofferenti di qualsiasi tipo di dipendenza, ecc.
Sono fratelli che hanno bisogno di comprensione, di vicinanza, di assistenza medica e professionale, di cura, di comunione orante, di correzione fraterna, di pazienza, di un po’ di tempo. È necessario affrontare tutte queste situazioni con onestà e responsabilità e con la preoccupazione di “realizzare la verità nella carità”. Possiamo dire che l’esercizio della carità comincia in casa e che una risposta giusta, adeguata, puntuale, vera e concreta sarà sempre di grande beneficio per tutti e di trasparenza indiscutibile per chi ci chiederà ragione delle nostre azioni».

Formazione e promozione vocazionale. In questo campo il superiore generale percepisce “sentimenti contraddittori” preoccupazione e apatia, di necessità di formare e passività, di impegno e pigrizia. La constatazione che «non sappiamo che fare e come fare» ripropone con forza la necessità di «essere protagonisti della promozione vocazionale partendo dalla nostra testimonianza personale di vita. Mi chiedo se siamo capaci di dire agli altri, con la nostra vita, che vale la pena seguire Cristo nell’Ordine dei Servi di Maria».
Ai superiori provinciali p. Ruiz ricorda che «le comunità devono partecipare a questa dimensione vocazionale ed essere in grado di accogliere nuove vocazioni trasmettendo loro il nostro patrimonio storico, culturale e spirituale». E ciò va curato senza «trascurare la formazione sia iniziale sia permanente», poiché c’è bisogno «di formare maestri che possano e sappiano accompagnare qualitativamente le nuove generazioni e abbiamo bisogno di mantenerci aggiornati e con un livello di cultura adeguato per dar ragione della nostra fede nel nostro mondo globalizzato e complesso». Da qui l’esortazione a vigilare sull’«im bor ghesimento e la mentalità relativista».

Internazionalità, pluriculturalità e “sensus Ordinis”. Oggi, «molte delle nostre comunità sono formate da frati di varie nazionalità. La nuova realtà delle comunità internazionali, interculturali e multietniche dell’ordine ci pone di fronte a una situazione che richiede discernimento». Il superiore generale è dell’avviso che c’è ancora molto da fare. «Dobbiamo conoscere i vantaggi, le difficoltà e i valori che suppongono questo tipo di comunità e non aver paura, liberarci da alcuni pregiudizi, rischiare in iniziative che favoriscano la costruzione di fraternità senza frontiere, senza distinzioni, “inculturate”, che siano segno di rispetto, di tolleranza, di apertura, di amicizia e di ospitalità. Cominciamo con qualche esperienza di formazione iniziale. Proviamo qualche comunità interprovinciale. Integriamoci per aiutarci reciprocamente e praticare il Sensus Ordinis… Tutto questo ci aiuterà anche a essere sensibili nel condividere non solo i beni materiali, gli aiuti a chi ne ha meno, ecc., ma soprattutto a interagire con una comunione fraterna che ci dia un respiro più ampio e fruttuoso».

Santa Maria. Sul finire della sua lettera, p. Ruiz ricorda che «per servire il Signore e i nostri fratelli, noi, i Servi di Maria, ci siamo dedicati fin dalle origini alla Madre di Dio (…) donna che per noi è modello, compagna, amica, madre, sorella, ispirazione, stimolo, guida». «Contiamo sulla presenza di Maria, che già conosce il cammino che conduce a Cristo, che sa come percorrere questo cammino… che sa in che cosa consiste la passione per Cristo e per l’umanità, che sa ciò che significa stare ai piedi della Croce di Cristo e ci insegna come stare ai piedi delle infinite croci dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli» per vivere alla luce delle ultime parole che lei stessa pronunzia nel Vangelo: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2, 5).

«Termino questa lettera invitandovi a essere autentici “primi tra fratelli”, a dare testimonianza di Cristo, che è venuto non per essere servito ma per servire, a promuovere con l’esempio e la parola la vita comune e il dialogo, ad aiutare tutti a raggiungere la propria pienezza in Cristo, ad accogliere e ascoltare tutti, a correggere e aiutare fraternamente quelli che vengono meno, a praticare la “collegialità” nel vostro ministero, a esercitare “questo servizio in spirito fraterno per dare sicurezza e coraggio a ogni frate e a ogni comunità nel proprio cammino religioso”. Cari fratelli, coraggio, l’impegno che avete accettato di essere priori, vicari o delegati provinciali non è facile, ma neppure impossibile... Senz’alcun dubbio, abbiamo tutti sperimentato la croce, la solitudine che ci invita a non venir meno e a servire i nostri fratelli con impegno. Certo ci rendiamo conto che dobbiamo essere genuini e coerenti, semplici e trasparenti per poter servire come maestri, ma soprattutto come testimoni di una verità che riempie la nostra vita e che è sufficiente per essere felici e realizzarci pienamente».

(Enzo Brena, su Testimoni 18 del 2012)