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bose-monastero11 ottobre 2012

Intervista a Luciano Manicardi (Bose)

La crisi c'è quando non c'è la carità

 

Di fronte alla crisi dovremmo porci alcune domande: quale promessa di vita esprimiamo per chi intendesse entrare in comunità? Le nostre esistenze sono belle? Sono capaci di esercitare un’attrattiva, di suscitare un desiderio.
Soprattutto: qual è la qualità delle nostre vite?

Ho incontrato fratel Luciano Manicardi a Bose, dove da molti anni vive la sua vita di monaco: attualmente è maestro dei novizi e vice priore della comunità. Il suo interesse principale è la rilettura dei dati biblici e della fede cristiana alla luce delle scienze umane. Parecchi i suoi libri su questi temi; pochi mesi fa è uscito un suo volume dal titolo La vita religiosa: radici e futuro (EDB 2012, pp.158, € 14,50), in cui, affrontandone diversi nodi problematici, presenta un percorso di semplificazione e di essenzializzazione cui la vita religiosa è chiamata: per affrontare la crisi senza rimozioni, ma anche senza angoscia. Su tale itinerario l’abbiamo intervistato, in occasione di una delle tante settimane bibliche che da tempo tiene presso il monastero piemontese, con una speciale attenzione alle generazioni più giovani.

La gratuità della vocazione
Fratel Luciano, perché un libro sulla vita religiosa?
I motivi sono tanti e differenti. Anzitutto perché, nonostante la crisi di vocazioni e la diminuzione degli effettivi, è una vita che riguarda ancora migliaia e migliaia di uomini e donne in tutto il mondo. Quindi perché si tratta di una forma di vita cristiana che intende essere memoria della semplicità e radicalità del Vangelo, ma che conosce molte difficoltà a rendere eloquente questa sua vocazione. E dunque può dire qualcosa circa la fatica dell’evangelizzazione che la Chiesa tutta oggi patisce. Inoltre, perché è una vita unica, ma estremamente differenziata tra ordini e congregazioni, forme di vita antiche e recenti. È sentita come preziosa dalla Chiesa, ma al tempo stesso sovente non è capita, oppure è apprezzata e usata solo in riferimento al lavoro pastorale che essa può fornire, dimenticando la fondamentale gratuità, inutilità, della vocazione di chi decide di far dono della propria vita nella sequela del Signore senza anteporre condizioni. Al tempo stesso, questa contraddizione abita molte congregazioni religiose sorte con uno scopo specifico che la storia stessa s’incarica di rendere a un certo punto obsoleto, ponendo così le congregazioni stesse di fronte al dramma della loro insignificanza. A quel punto che fare? Accettare di morire? Tentare la via del rinnovamento del carisma di fondazione? Insomma, i problemi che si pongono all’interno della vita religiosa non sono poi così estranei ai problemi che la Chiesa stessa si trova a vivere nel mondo complesso e pluralistico di oggi. Infine, oltre al fatto che io stesso vivo una vita monastica e ho avuto spesso occasione di entrare in contatto con svariate forme di vita monastica e religiosa, m’interessa l’aspetto antropologico di una vita segnata dalle strutture del celibato e della vita comune. La vita religiosa non è solo un prezioso punto di osservazione circa la vita ecclesiale, ma offre anche molti spunti d’interesse di tipo sociologico, antropologico e psicologico. Dunque circa la persona umana.

Che fare di fronte alla crisi
È già stata fatta menzione della parola crisi, termine ormai immediatamente e immancabilmente associato alla vita religiosa. Che fare di fronte alla crisi?
La crisi della vita religiosa è un dato di fatto: mancanza di vocazioni (soprattutto nel nostro occidente); difficile perseveranza di tanti membri (la crisi non è solo di vocazioni, ma anche di stabilità e perseveranza); comunità che devono chiudere; altre che dovrebbero (ma spesso né vogliono né riescono) accorparsi per impossibilità ad andare avanti per mancanza di forze; opere, case e strutture che devono essere abbandonate; invecchiamento notevole dei membri della vita religiosa perché i decessi superano di gran lunga gli ingressi, comunità che arrivano ad assomigliare a reparti di geriatria con un alto numero di malati, fisicamente e psichicamente, persone costrette a letto, e altre persone, sia della comunità stessa sia personale esterno specializzato, che devono accudirle e curarle… Il quadro è desolante. Tuttavia, a fronte di questa evidenza, ho alcune convinzioni.
La prima è che credo che ci saranno sempre uomini e donne che, sedotti dalla forza del Vangelo, andranno nel deserto per ascoltare il Signore che parla al loro cuore e vorranno seguirlo nella radicalità dell’amore indiviso del celibato e nella fraternità di una vita cenobitica. Sempre sorgeranno uomini e donne che nel loro oggi storico ascolteranno la parola del vangelo eterno e tenteranno di viverlo in una forma che coniuga solitudine e comunione. Le forme di questa presenza potranno e dovranno cambiare, ma la sostanza veramente importante resterà: il Vangelo mostrerà sempre la sua capacità di regnare sul cuore di tanti singoli e sull’insieme di tante fraternità.
La seconda convinzione è che la crisi della vita religiosa non può essere ridotta agli elementi pure drammatici e realissimi che abbiamo enumerato, ma chiede di essere letta in maniera evangelica. La crisi della vita religiosa non è connessa semplicemente al fatto che ci sono poche vocazioni e che non si intravvede futuro perché non vi sono nuovi ingressi o sono scarsissimi, ma c’è davvero crisi, davanti al Vangelo, quando in una comunità non si vive il comandamento nuovo, quando non si vive l’amore e la carità, quando non si narra il Cristo nelle relazioni comunitarie, e il Cristo può essere narrato e seguito anche nel morire, anche quando non si hanno più le forze per fare alcuna azione pastorale e alcun servizio comunitario. E un istituto, una congregazione, una comunità può seguire il Cristo anche vivendo con dignità il declino, anche quando la sua presenza si fa invisibile e penosa perché schiacciata dalla sua stessa debolezza e vecchiaia. C’è veramente crisi, secondo i parametri evangelici, quando in una comunità religiosa non ci si vuole bene, quando ci sono odi e gelosie, ripicche e vendette, invidie e maldicenze, non volontà di perdono e tante altre meschinità (e questo può avvenire anche in comunità che appaiono fiorenti). Ma quando c’è carità, benevolenza, riconoscimento dell’altro, servizio reciproco, allora, anche se la comunità è piccola, anziana, povera, senza prospettiva di sviluppo futuro, tuttavia lì si vive il Vangelo. La vita religiosa chiama a vivere la carità, e quando questo c’è, non si può dire che ci sia crisi. La crisi c’è quando non c’è carità.
Terza convinzione è che la crisi va colta come appello e domanda rivolta alle comunità religiose. E la domanda di fondo che le comunità religiose si dovrebbero porre è: quale promessa di vita esprimiamo per chi intendesse entrare in comunità? Le nostre esistenze sono belle? Sono capaci di esercitare un’attrattiva, di suscitare un desiderio, di sollevare delle domande profonde? Soprattutto: qual è la qualità delle nostre vite? Perché è la vita che attira la vita.

Vangelo e sequela
Il titolo del volume parla di radici e futuro della vita religiosa: quali sono gli elementi costanti e imprescindibili della vita religiosa?
La vita religiosa ha un futuro nella misura in cui s’immette in un movimento di essenzializzazione e di semplificazione. Il primato del Vangelo e la sequela di Cristo nell’amore e nella libertà sono i fondamenti perenni di questa vita. La comunità e la missione sono i due elementi costitutivi che impegnano la creatività e la capacità di inculturazione dei religiosi. Questi i quattro capisaldi della vita religiosa. Del resto, ogni movimento autentico di riforma non consiste nel moltiplicare e creare strutture, ma assomiglia a una ablatio, a un togliere, a un purificare, perché risplenda meglio la luce del Vangelo. Così, la vita religiosa si trova di fronte al suo compito profetico: tradurre nell’oggi storico il Vangelo eterno e mostrarne la bellezza e vitalità. Si tratta di tradurre in una vita umana e umanizzata, vissuta all’interno delle coordinate specifiche della vita religiosa - il celibato e la comunità -, le esigenze del Vangelo.

Infine: il libro insiste a lungo sulla dimensione umana e umanizzata della vita religiosa. Perché questa insistenza?
Perché la vita religiosa può essere luogo di abusi, di creazione di nevronevrosi e di patologie, di rapporti insani, può essere, in una parola, disumanizzante. Già la Regola di Benedetto mette in guardia l’abate dal pensare di potersi servire di un potere arbitrario nei confronti dei suoi monaci. Una distorsione dell’esercizio dell’autorità e una cattiva interpretazione dell’obbedienza possono condurre a esiti devastanti sulle persone. Ora, vita di sequela radicale di Gesù, la vita religiosa trova nel Vangelo la norma rettissima di vita umana, come dice la Regola di Benedetto, e nella pratica di umanità di Gesù la via da percorrere. Credo che la vita religiosa debba mettere l’accento sul sostantivo vita più che sull’aggettivo religiosa: questo non significa secolarizzare la vita religiosa, ma sottolineare che essa non è una vita ritualizzata, non è una vita filantropica, non è una vita sotto il segno del dovere e della prestazione religiosa, non può essere dominata dall’ossessione dell’efficienza pastorale, ma è anzitutto e semplicemente una vita. Vita che emerge e si manifesta nella qualità delle relazioni fraterne, nell’affettività larga e liberante che si vive nello spazio comunitario, nell’attenzione data alla comunicazione interna ed esterna alla comunità, nel modo di vivere l’autorità nella comunità, dal modo di salutarsi e riconoscersi reciprocamente, dal modo di pranzare insieme, di pregare insieme, di attendersi e perdonarsi, insomma, di volersi bene. Di amarsi. A dispetto di un modello di vita spirituale che ha dominato nella vita religiosa fino a qualche decennio fa, un modello progressivo e ascendente costituito dai gradini della purificazione, della conoscenza e dell’unione con Dio, oggi la vita religiosa si può adeguatamente strutturare sulla base dell’ascolto della parola di Dio che la conduce ad assumere la forma Christi come modello tanto del singolo quanto della comunità. La vita religiosa è una vita umana, integralmente umana, vissuta seguendo l’umanità di Gesù di Nazaret. E una vita di sequela di Gesù non può che essere una vita sotto il segno dell’amore, e dell’amore fino alla fine (cf. Gv 13,1).

(Brunetto Salvarani, su Testimoni 16 del 2012)