martirespozueloGiugno 2012

Beatificati 22 Oblati spagnoli di Maria Immacolata

Uccisi in odio alla fede

 

Il 17 dicembre scorso, nella cattedrale dell’Almudena, di Madrid, sono stati beatificati 22 oblati e un laico, martirizzati nel 1936 durante la guerra civile spagnola. Non sono stati i soli a essere martirizzati. Tra il 1934 e il 1939 si sono avuti migliaia di martiri spagnoli, di cui 990 beati e 11 santi.

Il martirio dei 22 religiosi Oblati del villaggio di Pozuelo di Alarcón (Madrid) va inquadrato nel clima generale di odio e di fanatismo antireligioso suscitato in Spagna tra il 1931 e il 1939.
Nel 1936, Pozuelo era un villaggio di 2.000 abitanti. Era costituito da due nuclei di popolazione. L’antico popolo di agricoltori e da una nuova contrada, a prevalenza operaia, che si era creata con l’arrivo della ferrovia e che si chiamò e continua a chiamarsi “contrada della stazione”.
Le organizzazioni sindacali riuscirono a infiltrarsi nell’ambiente operaio e cominciarono a impartire ordini rivoluzionari e anticlericali che in breve tempo prenderanno di mira i “frati” oblati.
Nella contrada della stazione, i missionari Oblati di Maria Immacolata, nel 1929, avevano acquistato una tenuta con una spaziosa abitazione che destinarono al seminario maggiore.
Durante la quaresima preparavano gli adulti al precetto pasquale. Nelle grandi feste la corale del seminario veniva invitata a cantare la santa Messa e a organizzare le processioni. Era un invito che accettava sempre, nella misura del possibile. A Pozuelo c’era un solo sacerdote diocesano che era parroco dell’antico villaggio e officiava la cappella della contrada della stazione.
I sacerdoti oblati lo aiutavano celebrando nelle domeniche e nelle feste la Messa delle nove del mattino nella parrocchia dell’Assunzione e accompagnando i funerali che si celebravano nella cappella della stazione.

Circondati da un odio crescente
Questa attività religiosa, tuttavia, aveva cominciato a preoccupare i socialisti, i comunisti e i sindacalisti i quali avevano costituito i loro comitati nella contrada della stazione. Con grande preoccupazione avevano notato che i “frati” (così li chiamavano) costituivano la locomotiva che animava la vita religiosa di Pozuelo e dei dintorni. Erano irritati per il fatto che i religiosi andassero per la strada con la talare e per di più con il loro crocifisso ben visibile appeso al petto.
L’irritazione aumentò ancor di più nel sapere che un oblato assisteva alle riunioni che i ferrovieri cattolici tenevano nei locali della chiesa.
A causa di tutte queste attività, esclusivamente religiose, il seminario degli oblati fu preso sempre più in odio dai gruppi marxisti.
Nonostante che le consegne rivoluzionarie diventassero di giorno in giorno sempre più aggressive, i superiori oblati non si immaginavano che le cose potessero giungere dove sarebbero giunte.
Non passò loro per la mente che un giorno avrebbero potuto essere vittime di tanto odio per la loro fede in Cristo e per essere araldi del Vangelo.
I primi sette mesi del 1936 furono un tempo di forte tensione. Con il trionfo elettorale del Fronte popolare, la persecuzione divenne un fatto permanente. Tutti i fine settimana la gioventù marxista si concentrava nel parco chiamato Fuente de la Salud, vicino al convento, e gridavano davanti alle porte della casa “Morte ai frati”.
Quando i miliziani assalirono il convento, la prima cosa che cercarono come pazzi da tutte le parti furono delle armi e dar così la stura alle maldicenze e rendere credibile il veleno della diffamazione.
Il 20 luglio del 1936 i giovani socialisti e comunisti si riversarono nelle strade e cominciarono nuovi incendi di chiese e conventi. I miliziani di Pozuelo non si tirarono indietro e diedero avvio al loro festival di soprusi. Assalirono la cappella della borgata della stazione, buttarono gli ornamenti e le immagini sulla strada e diedero ad esse fuoco con una grande orgia sacrilega. Incendiarono quindi la cappella e ripeterono la scena nella parrocchia del villaggio.Lo stesso comportamento, espressione viva di un profondo sentimento antireligioso, appare ratificato nel rapporto del municipio di Pozuelo al tribunale di Getafe. Parlando del detenuto, nei pressi di Pozuelo, Julián Moreno Morán, il rapporto afferma: è una persona di ideologia di sinistra, un individuo facente parte del comitato rosso di questa città, è intervenuto nelle confische e nei saccheggi obbligando, assieme ad altri, gli individui di destra a sparare ai santi della chiesa parrocchiale.

Condotti al martirio
Il 22 luglio, alle tre del pomeriggio, un nutrito contingente di miliziani, armati di fucili e pistole, prese d’assalto il convento. La prima cosa che fecero fu di tenere i religiosi, che erano 38, reclusi nella abitazione sotto vigilanza e in un luogo angusto, con le armi. Fu un momento di tensione terribile in cui tutti pensarono che fosse giunta l’ora della morte. Di fronte al comportamento nervoso, rude e scomposto dei miliziani non potevano pensare altrimenti.
Come atto secondo, i miliziani procedettero a una minuziosa perquisizione in cerca di armi. Trovarono quadri religiosi, immagini, crocefissi, rosari e ornamenti sacri. A partire dai piani superiori tutto fu gettato giù dalle scale al pianoterra per distruggerlo con fuoco in mezzo alla strada.
Il 24 alle tre o quattro della mattina avvengono le prime esecuzioni. Senza interrogatorio, senza accusa, senza processo, senza difesa, chiamarono sette religiosi e li separarono dagli altri. I primi a essere fucilati furono: Juan Antonio Pérez Mayo, sacerdote di 29 anni; Manuel Gutiérrez Martín, suddiacono, di 23 anni; Juan Pedro Cotillo Fernández, professo perpetuo, di 22 anni; Pascual Aláez Medina, professo di voti temporanei, di 19 anni; Francisco Polvorinos Gómez, professo di voti temporanei, 26 anni; Justo González Lorente, professo di voti temporanei, di 21 anni. Fu chiamato anche un laico vicino a Pozuelo, Cándido Castán San José, cattolico distinto, padre di famiglia, sposato con due figli. Aveva 42 anni. Senza alcuna spiegazione furono fatti salire su due macchine e condotti al martirio che ebbe luogo nella Casa de Campo, situata tra il comune di Pozuelo e Madrid.
Gli altri religiosi rimasero prigionieri in convento e trascorrevano le loro ore di attesa pregando e preparandosi a ben morire.
Qualcuno, forse il sindaco di Pozuelo, comunicò a Madrid il rischio che correvano i religiosi e in quello stesso 24 luglio, alle due del pomeriggio, giunse un camion delle Guardie di assalto con l’ordine di portare i religiosi alla Direzione generale della Sicurezza.
Dopo che i religiosi furono portati a Madrid, le milizie rosse trasformarono il convento in quartiere generale e in un carcere di laici vicini al villaggio. Anche per questi laici ci fu un giudizio quanto mai sommario, senza giudici e senza difesa e 47 furono fucilati.
Il 25 luglio gli oblati rinchiusi nella Direzione generale di sicurezza, dopo aver compilato delle pratiche burocratiche furono rimessi in libertà. Questi cercarono rifugio in alcune case private, ma nel mese di ottobre furono di nuovo arrestati e condotti al carcere Modello.
Qui essi sopportarono un lento martirio di fame, freddo, di terrore e di minacce finché giunse la fine cruenta per quindici di essi. Il 7 dicembre fu fucilato a Paracuellos de Jarama José Vega Riaño, sacerdote e formatore del seminario, 31 anni di età. In quello stesso giorno, a Soto de Aldovea, la stessa sorte toccò a Serviliano Riaño Herrero, professo di voti temporanei, 20 anni di età.
Venti giorni dopo giunse il turno degli altri 13 oblati. Il procedimento fu lo stesso per tutti. Non ci fu accusa, né processo, né difesa e nemmeno furono date delle spiegazioni. Solo l’annuncio dei loro nomi attraverso potenti altoparlanti: Francisco Esteban Lacal, sacerdote e superiore provinciale, 48 anni; Vicente Blanco Guadilla, superiore del seminario, 54 anni; Gregorio Escobar García, neo sacerdote, 24 anni. Juan José Caballero, suddiacono, 24 anni; Publio Rodríguez Moslares, professo perpetuo, 24 anni; Justo Gil Pardo, diacono di 26 anni; Ángel Francisco Bocos Hernández, professo perpetuo, 52 anni; Marcelino Sánchez Fernández, professo perpetuo; José Guerra Andrés, professo temporaneo, 22 anni; Daniel Gómez Lucas, professo temporaneo, 20 anni; Justo Fernández González, professo temporaneo, 20 anni; Clemente Rodríguez Tejerina, professo temporaneo, 18 anni; Eleuterio Prado Villarroel, professo temporaneo, 21 anni.
Si sa che il 28 novembre furono prelevati dal carcere, condotti a Paracuellos de Jarama e qui fucilati.
Effettivamente, le liste dei prigionieri prelevati dal carcere di San Antón il 27 novembre 1936, che dietro ordine di “essere posti in libertà” furono portati all’esecuzione, ci offrono i nomi dei 17 oblati. Si pensa che morirono facendo professione di fede e perdonando ai loro carnefici. Sappiamo che dei 22 oblati, malgrado le torture psicologiche durante la crudele cattività, nessuno ha apostatato, né rinnegato la fede, e nemmeno si è pentito di aver abbracciato la vocazione religiosa. Fin qui il racconto di Joaquin Martínez Vega.

La Chiesa ha voluto onorare questi martiri affinché la loro memoria non vada perduta, elevandoli alla gloria degli altari.
Durante la cerimonia di beatificazione, il card. Angelo Amato, presiedendo la celebrazione, ha affermato: «Non avevano fatto nulla di male. Anzi, l’unico loro desiderio era di fare il bene e annunciare a tutti il Vangelo di Gesù, che è buona notizia di pace, di gioia e di fraternità».
Il porporato ha poi ricordato che «i martiri di ogni tempo sono testimoni preziosi di quella esistenza umana buona, che risponde alla brutalità dei persecutori e dei carnefici con la mitezza e il coraggio degli uomini forti. Senza armi e con l’energia irresistibile della fede in Dio essi hanno vinto il male, lasciando a tutti noi una preziosa eredità di bene». E ha aggiunto: «I carnefici sono dimenticati, mentre le loro vittime innocenti sono ricordate e celebrate».
Di questi martiri ha parlato anche Benedetto XVI, durante l’Angelus del 18 dicembre 2011, dicendo: «Alla gioia per la loro beatificazione si unisce la speranza che il loro sacrificio porti ancora tanti frutti di conversione e di riconciliazione».

(su Testimoni 11 del 2012)