BERNINIMaggio 2012

Con la metafora della seduzione divina, il Centro studi e la rivista Consacrazione e Servizio dell’Usmi nazionale, domenica 11 marzo, hanno promosso a Roma una riflessione condivisa sul futuro della vita religiosa.

 

Ma Dio seduce ancora?

 

La generazione di religiosi che oggi si trova in mezzo al guado della crisi, si accorge che l’altra sponda non solo non si vede ma sembra aver perso consistenza e si ritrova nella situazione liquida della società post-moderna, senza una terraferma in cui sentirsi sicura. Inoltre ha in cuore una sorta di rabbia che vorrebbe esplodere: perché Colui che ci ha sedotto ci ha abbandonato? Dove sono le belle schiere di giovani che riempivano i nostri conventi? Siamo forse gli ultimi religiosi? Siamo forse gli ultimi cristiani?
Con la metafora della seduzione divina, che non riguarda certamente solo i consacrati, il Centro studi e la rivista Consacrazione e Servizio dell’Usmi nazionale, domenica 11 marzo, hanno promosso a Roma un pomeriggio a più voci per dare corpo a una riflessione condivisa sul futuro della vita religiosa.
Come Geremia ciascuno/a religioso/a potrebbe narrare una vicenda di seduzione e di bellezza da parte di Dio, che però, guardando all’insieme delle nostre istituzioni, sembra non abbia corrisposto alle attese: Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre, mi hai fatto violenza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me (Ger 20, 7). Giunti al culmine della missione che il Signore ci ha affidato, sperimentiamo che i conti non tornano.

Una riflessione seminata di interrogativi
Il primo a prendere la parola è stato p. Ugo Sartorio, frate minore conventuale, direttore del mensile “Il messaggero di Sant’Antonio” e del bimestrale “Credere oggi”. Un religioso con le mani in pasta e non solo nel mondo della comunicazione. Ha declinato l’argomento del pomeriggio con il tema Sedotti…e abbandonati? Vita consacrata al futuro, conducendo il vasto uditorio di circa 260 persone, nel territorio della crisi, attraversato da inquietudini, analisi e previsioni più o meno affliggenti sul futuro della vita religiosa. Ha sgomberato immediatamente il campo dalla tentazione di una lettura moralistica e colpevolizzante della situazione, descrivendo la realtà con serena e acuta consapevolezza ma seminando di interrogativi quelle risposte rassicuranti che tentiamo di darci. La vita religiosa è finita in Europa, ma cresce al di fuori di essa. Forse non è proprio così. Poi ci sono le nuove comunità, le nuove forme di consacrazione, ma è troppo presto per farvi affidamento.
Intanto ci dedichiamo ad esercizi di sopravvivenza. Scriviamo la gloriosa storia delle nostre istituzioni: non ci sono mai stati tanti storici della vita consacrata come oggi. Lavoriamo con accanita cura alla pastorale vocazionale, ma rimaniamo ansiosi e sempre rigiriamo tra le mani i numeri e i quadri che diminuiscono. Diventiamo ostinati iperattivi: non lasciamo le posizioni, le cosìdette opere, anche se non ne abbiamo più le forze, al costo di spremere proprio quei religiosi/e sempre generosi e disponibili. E poi rimane una grande area grigia e indistinta di tanti singoli e istituzioni, che non sono pronti né a vivere né a morire, del tipo “naufragio con spettatore”.
La vita consacrata appartiene inconcusse alla vita della Chiesa, ma possiamo dire con certezza che siamo inesorabilmente gli ultimi testimoni di un certo modo di vivere la vita consacrata. Il futuro non è solo dei giovani, perché sembra che il cambio non avverrà per successione, ma per un’alleanza tra le generazioni: occorre cedere ai più giovani quote di potere senza negare quote di fiducia. Sartorio in conclusione invita a diventare testimoni visibili dell’Invisibile, stare attenti e chiederci: perché la gente non ci vede, nemmeno quando portiamo segni appariscenti? La sua risposta è stata: perché non emerge nessun fascino, nessuna seduzione. Forse siamo simpatici ma lontani, mentre il fascino è anche prossimità, sapore di vita piena e bella. Essere visti non è farsi vedere: se c’è la vita, la vita è creativa e si vede senza bisogno di pubblicità. Conclude dicendo che bisogna pensare il futuro non al futuro, intendendo con questo l’attitudine a non lasciarsi catturare dall’ansia per un futuro che non ci appartiene, ma liberati dalla preoccupazione per se stessi immaginare il futuro nella creatività dello Spirito.

Dio ci ha sedotti, ora cosa ci resta?
È toccato a p. Amedeo Cencini, canossiano, notissimo formatore e psicoterapeuta di lungo corso, addentrarsi nella lettura del testo biblico di Geremia che ha ispirato il pomeriggio e prima ancora il supplemento di Consacrazione e Servizio, sulla identità e attualità della vita consacrata. “…Mi sono lasciato sedurre (Ger 20,7). La vita consacrata come seduzione divina”. Cencini ha esordito dicendo che siamo tutti un po’ arrabbiati con il nostro Dio che prima ci seduce e poi ci mette in una situazione piena di contraddizioni, e di conseguenza viviamo come se non ci sentissimo a nostro agio con Dio. Dio ci ha sedotti, ci ha condotti a sé e ora cosa ci resta? Cosa abbiamo davanti a noi?
La seduzione è un processo in cui una persona induce un’altra a intraprendere una relazione e lo fa con una certa pressione per condurre a sé; può essere sia positiva che negativa. Dio seduce Geremia ed egli, a un certo punto, considerando gli eventi drammatici di cui è partecipe, si sente ingannato da Dio e confessa: Mi sono lasciato sedurre…e così la parola di Dio è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Ma il profeta non può sottrarsi alla lotta irresistibile con Dio, perché Dio è un fuoco ardente, incontenibile, racchiuso nelle sue ossa. Un po’ alla volta, di disinganno in disinganno, si accorge che questo fuoco purifica il suo cuore mentre sembra straziarlo e soprattutto purifica in lui l’immagine di Dio. Il profeta grida ma Dio non risponde ed egli continua la sua lotta sino a giungere a condividere il dolore stesso di Dio per il fallimento della storia d’amore con il suo popolo.
Nella lotta e nel fascino irresistibile del suo amore, Geremia conosce la passione di Dio, partecipa all’esperienza dolorosa di un amore tradito e rifiutato. Avviene così nella persona sedotta una piena identificazione con il suo Seduttore, che lo ha coinvolto sino al punto di confidargli i suoi sentimenti. La seduzione di Dio tiene desti e caldi i nostri sentimenti e ci educa alla libertà dell’amore, alla libertà di lasciarci affascinare, di lasciarci mettere alla prova, di lasciarci sedurre.
Con vera passione formativa, p. Cencini sottolinea l’importanza di educare i sentimenti perché le nostre relazioni non siano astratte o volontaristiche; educare i sensi, proprio in questo tempo in cui rischiamo di “perdere i sensi” e di divenire insensibili a tutto. Perché c’è una corrispondenza tra i sensi esterni e quelli interiori, tra i sensi fisici e quelli spirituali, una corrispondenza che va ritrovata e vissuta. Mai come in questo tempo è necessario formare alla coerenza tra i sensi esterni e quelli del cuore capaci di percepire il mistero di Dio e di farne esperienza.
Ci sono persone che sono religiosi/e ma senza seduzione. Anche le nostre opere sembrano mute, perché non riusciamo a comunicare le ragioni fondamentali del vivere: la gente usufruisce dei nostri servizi, li loda, ma le ragioni per vivere le cerca altrove. Tante opere, buone, utilissime, quasi indispensabili ma non sono eloquenti di Dio, mentre noi diventiamo afoni perché ci siamo identificati con le nostre opere.
Occorre allora rivedere certi aspetti della nostra formazione. Questo tempo difficile è forse il tempo privilegiato per tornare a dare alla nostra formazione il fuoco della seduzione, lasciandoci plasmare dalla mano del Padre, che forma in noi i sentimenti del Figlio, come si esprime Vita consecrata in proposito: Si tratta di una progressiva assimilazione dei sentimenti di Cristo verso il Padre (VC 65). La formazione, iniziale o permanente che sia, riguarda tutta la vita, morte compresa e il noviziato vero è quello che ci prepara alla morte.

Una interpretazione al femminile
La relazione della dott.ssa Paola Bignardi, già presidente nazionale dell’Azione Cattolica e ora coordinatrice del Forum internazione dell’Azione Cattolica e dell’associazione Retinopera, ha coronato l’impegnativo tema: Sedotte. Una interpretazione al femminile.
Inizia con due storie di vita in cui la seduzione di Dio si consuma tra amore e dolore, tra preghiera e affidamento. Una seduzione messa alla prova. Come la storia di Sabrina e Riccardo che riconsegnano al Padre la loro bimba di cinque anni, con una fede così grande che coincide con l’amore, quell’amore silenzioso che non ha parole ma si affida. Come la storia di Alessia che, a 15 anni, si ammala gravemente e inizia un cammino di fede in cui avverte l’attrazione del Signore che la stringe sempre più intimamente a sé, al punto che la vita e la morte si riconciliano nell’amore che non ha fine.
Si chiede allora la Bignardi: c’è un modo femminile di vivere la fede? La relazione con Dio?
Sì, è l’originale fede delle donne nell’approccio che passa dal cuore, dalla maternità, che è il modo peculiare di essere donna, un modo che segna il corpo, l’anima e lo spirito, nella pienezza del senso di una vita strutturata dal dono. La donna, nel suo essere grembo, evidenzia la fecondità della sofferenza capace di reintegrare la morte con la vita.
In sei passaggi, trasparenti di una ricca esperienza personale, la dott. ssa Bignardi declina la seduzione di Dio al femminile. Nella fede delle donne è vivo il senso della persona del Signore, come testimoniano i personaggi femminili del Vangelo: esse vivono la fede con i caratteri affettivi della loro personalità. Va sottolineata la loro cura della vita, l’intimità della fede, la gratuita fedeltà a sfidare la notte, la disponibilità ad attendere senza desistere.
La fede delle donne capisce Dio con il cuore, con un’intuizione d’amore, che è il principio gnoseologico più vero e al riparo dalle speculazioni astratte, da una cultura viziata dal razionalismo deduttivo. È l’intelligenza del mistero: il Dio che si rivela diverso dalle attese, come Maria che accoglie nel figlio morto la vita del mondo. Le donne restano, non fuggono, perché sono fedeli al loro amore. Nei confronti di Cristo non hanno progetti da realizzare, solo lo amano e l’amore è tutto. Credono che niente è impossibile a Dio, anzi sono aperte all’imprevedibilità di Dio, sono potenzialmente testimoni della Risurrezione, custodi della Vita che non ha fine.
La fede delle donne conosce l’ordinaria radicalità dell’amore. Non teme il sacrificio fatto nell’amore, per esse il sacrificio è strada di realizzazione piena, in cui dolore e amore coincidono. Il loro accento è sul tesoro trovato e non sull’aver venduto tutto per trovarlo. Seguono il Signore Crocifisso, si perdono nell’Amato del loro cuore e riconoscono il suo volto nel volto del povero, che abbracciano e amano senza condizioni. La fede delle donne conserva nel cuore e dà continuità, custodisce e medita gli eventi, con la forza della memoria che sa accogliere anche la contraddizione e riconcilia le antinomie. Le donne sono presenti nell’ordinarietà con quella sapienza che è all’opposto dell’animus produttivo e organizzativo dominante. Stanno sotto la croce perché hanno lo spazio interiore per accogliere anche il dolore.
La fede delle donne intuisce il futuro perché guarda dove va la vita, si mette sulla sua scia e la segue con un intuito che accoglie e valorizza ogni vita, senza paure, senza competizioni, senza aggressività. L’uomo e la donna sono i due volti della stessa realtà ma nella storia se ne è visto anzitutto uno. Non esiste un modello unisex, ma esiste la reciprocità nel dono che ha origine nel progetto di Dio, la sua intenzione d’amore per tutti i suoi figli.
La relatrice conclude invitando a vivere la crisi del mondo, della Chiesa, della stessa vita religiosa con la convinzione che c’è un Amore che genera vita e noi lo abbiamo sperimentato e perciò possiamo presentarci capaci di speranza, meno impauriti, meno preoccupati e tristi. Ci è affidata la profezia, la capacità di fare una lettura serena di ciò che sta accadendo, credendo che le prove, le crisi, le negatività, nella prospettiva di Dio, hanno una grande fecondità. Dio seduce ancora, ma abbiamo parole per narrare la sua seduzione? Abbiamo parole per trasmettere la fede, per accostare i giovani con capacità educativa? Ci sono due vie: l’ascolto e l’accoglienza. Il primo linguaggio è quello che sa “far vedere” la pienezza della vita, il segreto per vivere bene. Poi sapere correre sulle domande dei giovani: non giudicare ma accompagnare il loro modo di vivere in quell’Assenza che patiscono senza verbalizzarla, ma che lascia trasparire il loro desiderio di vita e di futuro.
Mentre ci si saluta, il cuore esulta e continua a riflettere. Sì, Dio seduce ancora e la sua seduzione ci porta nel territorio dell’amore che cresce nell’attesa, matura nel dolore, si affaccia sugli orizzonti sconfinati del mistero di Dio e dell’uomo e regala futuro a piene mani.

(Giuseppina Alberghina, sjbp, su Testimoni 7 del 2012)