car051205Aprile 2012

Appunti dal “Servizio” di una suora nel carcere di Cuneo

“Nei carcerati vedo Gesù”

In carcere ci sono situazioni insostenibili: sovraffollamento, tensioni, depressione. Mancano lavoro, impegni, attività sportive e culturali. I detenuti sono tutti poveri, perché poveri di amore, di incontri, amicizia, intimità, dignità, libertà ...e di quanto rende una persona davvero persona.
Da 23 anni lavoro in carcere. Nei detenuti che incontro, nei loro parenti, nei vari operatori vedo e incontro Gesù, che ha detto: “Ero carcerato ... “, “tutto ciò che avete fatto ai più piccoli, lo avete fatto a me ... “Non mi è stato, non mi è difficile vedere Gesù in chi incontro. Tanti anni fa una bambina del catechismo aveva detto: “Nei bambini buoni vedo Gesù Bambino, che giocava come noi. Nei grandi buoni vedo Gesù che voleva bene a tutti e curava i malati, e nei cattivi io vedo Gesù Crocifisso, perché Gesù è morto per perdonare i cattivi e farli diventare buoni”. Teologia di bambini che ci serve per tutta la vita. Parlare di “Crocifisso e di crocifissi del mondo”, per me è diventato normale e nei detenuti con problemi e storie di sofferenze e in tutti gli altri sofferenti che incontro vedo Gesù, il Crocifisso, il Risorto, unica Speranza.

Fare i volontari in carcere
Ci sono vari modi di fare i volontari in carcere e volontari molto diversi, spesso eccellenti: qui a Cuneo, in Ariaperta e tra gli altri. Ne ho conosciuti, negli anni, in incontri a livello regionale: preparati, esperti, disponibili, con spiccate doti personali, col timbro e, soprattutto, con lo spirito di associazioni, in maggioranza con ispirazione e motivazioni evangeliche. Volontari validi, con ruoli impegnativi a livello locale, regionale e nazionale, come Carlo e Santino già con Dio, e tanti altri, come Oreste, Giovanni, Giuseppe e donne come Tecla, Giuliana e altre, e tante suore meravigliose, del Coordinamento volontari penitenziari del Piemonte e di quello delle suore un po’ in tutta Italia. Operano in modo semplice, impegnati al massimo ... Volontari bravissimi, sorelle meravigliose, che lavorano in grandi complessi come Milano, Palermo e Roma e altri o in realtà periferiche minori, come Cuneo, e in vari istituti, disseminati in tutta la penisola, dal Piemonte al Veneto fino all’Italia centrale, dalla Sicilia alla Sardegna. Un musulmano giovane mi ha detto: «Voi volontari ci date gioia, perché siete pieni di Dio, siete il sorriso di Dio». L’incontro col mondo del carcere ha segnato profondamente e segna la mia vita. È dono di Dio molto grande, essere un piccolo segno di amore, di speranza e scoprire e riscoprire la presenza e l’amore di Dio, operante in ogni persona. Ho incontrato e incontro decine, centinaia di detenuti. Ho un quaderno-rubrica al quale continuo ad aggiungere fogli, soprattutto per certe lettere dell’alfabeto, dove ho elencato quanti ho incontrato anche solo per una volta o poco. Anche quelli che conosco, per scritti, attraverso compagni e altri modi imprevedibili. Forse ho dimenticato qualcuno. Sono tanti, tantissimi. Elenchi lunghissimi. Non ho mai avuto il coraggio e il tempo di contarli. Tutti porto nel cuore. Anche se mi sento piccola, povera e incapace. E, come mi ha detto poco tempo fa un giovane sacerdote, «non c’è problema, il cuore ce lo dilata lo Spirito Santo: ci stanno tanti, ci stanno tutti». E sentendo tutti nel cuore, i piccoli gesti, umili e semplici di accettazione, di stima, di rispetto, il dono di cose piccole, come francobolli, cancelleria e “varie” quando ho soldi, per la carità di persone buone e delle mie consorelle, diventano facili, spontanei, “piccoli segni” della vicinanza e dell’amore di Dio.

Il carcere è pieno di persone sole, di “poveracci”
Incontro i detenuti, poco in attività di gruppi, soprattutto in colloqui individuali. E sono i più soli, disperati, senza mezzi e senza appoggi, che vengono da me e dai volontari. Sono poveracci, i senza difesa, i “non garantiti”, come aveva detto il procuratore dott. Caselli, quando era stato al Dipartimento penitenziario. Sono i disperati, provenienti dal “disagio sociale” e fanno del carcere una “pattumiera del degrado sociale”, come pure hanno detto – più o meno – don Ciotti e don Damoli.
In questi ultimi anni la realtà del carcere è peggiorata, in genere, e a Cuneo in modo particolare. La realtà di Cuneo col supercarcere “Cerialdo”, per un centinaio di detenuti con l’art. 41/bis e con il normale carcere, ora, con circa 350 persone, in varie sezioni, è molto complessa. Al 41/bis noi volontari non possiamo accedere. La mia esperienza è relativa alla realtà che incontro. Molti detenuti arrivano a Cuneo da Torino, Milano e altri istituti, con situazioni giuridiche molto varie: in attesa di giudizio, in attesa di appello, definitivi ... con reati e pene varie, da pochi mesi a molti anni. Tanti sono i giovani, soprattutto stranieri – fino all’80% e oltre – di vari paesi, del nord e centro Africa, dell’America Latina, dell’Albania e paesi dell’est, fino all’Iran, Iraq, filippini e altri. Molti sono soli, di varie età, senza famiglia, senza appoggi, alla prima carcerazione o – tanti – con ripetute carcerazioni; tossicodipendenti, ormai cinquantenni, malati di AIDS; altri giovani, persone rovinate dalla droga, italiani e stranieri. Sono quelli definiti da uno psicologo del carcere di quasi 20 anni fa:”detenuti a vita’”. Molti, per non dire tutti, sono persone con pesanti limiti umani, psicologici, famigliari, ambientali e culturali, provenienti da situazioni incredibili. Ci sono persone con alle spalle tempi brevi di pena, che riescono a reggere al “logorio del carcere”, e altre con pene lunghe e pesanti. Queste persone spesso non sono “normali” ma “fuse e distrutte” da anni di vuoto e disperazione. Il carcere, resta spesso solo pena e non, come dovrebbe essere, “riabilitazione e reinserimento” nella società.

Ci sono incontri che mi lacerano
Tutti gli incontri, tutte le persone, mi entrano nel cuore. Ma ci sono incontri che mi lacerano, come quelli con persone che hanno fatto tanti anni (15-20-28 e anche più) di carcere e mostrano i segni gravi della carcerazione, soprattutto se non hanno avuto sostegno famigliare o di altro tipo. Così pure fanno soffrire gli incontri con persone giovani, sprovvedute, disperate, venute in Italia per cercare lavoro e dignità, che per “sopravvivere” hanno preso strade sbagliate o, peggio ancora, sono state sfruttate dai veri delinquenti, “furbi”, che restano fuori. Persone spesso condannate in contumacia, senza difesa, senza appello per cambiamento della loro condanna.
E proprio l’aspetto della “mancanza di difesa”, porta a contattare tanti avvocati: di ufficio, che spesso si impegnano con responsabilità, anche se saranno poco retribuiti, che sanno aiutare con spirito umanitario i disperati dalla vita, spesso più sfortunati che delinquenti. E per me – con tante delusioni per i limiti della “Giustizia” e della “Legge” – non proprio “uguale per tutti” – è stato bello l’incontro, la conoscenza, di tanti avvocati, in genere giovani, veramente umani e generosi.

I detenuti sono tutti “poveri”
In carcere si soffre e in carcere sono tutti poveri, anche quelli – e sono pochi – che hanno soldi. Ci sono situazioni insostenibili: sovraffollamento, tensioni, depressione, violenze, solitudine, gesti insani. In carcere mancano lavoro, impegni, attività sportive e culturali... Le “misure alternative“ e i “benefici” per i detenuti meritevoli, restano scritte sulla carta e non sono attuabili per gli stranieri e
i “poveracci”, che sono realtà del carcere di Cuneo.
I detenuti sono tutti poveri, perché poveri di amore, incontri, amicizia, intimità, dignità, libertà ... e di quanto rende una persona davvero persona, con diritti inalienabili uniti ai doveri. Si dirà: “sono delinquenti ... “. Ma alcuni non lo sono e anche i delinquenti sono e restano persone. Ed è per questo che insistiamo sulla “dignità della pena” e che, nei miei limiti, ma con tutto il cuore, cerco di servire questi fratelli ... come gli altri volontari.
Incontrare i detenuti, per varie ore alla settimana in carcere, vuole dire tanto impegno dopo. Scrivere loro: a quelli che incontro, a quelli che non posso incontrare, agli “amici” che mi vengono segnalati dai detenuti che incontro, a quelli, che sono stati trasferiti, un po’ in tutta Italia... Ne perdo poi di vista tanti, se non rispondono. Ma ne seguo tanti da anni, per anni, fino alla scarcerazione ... e anche dopo. Vuol dire scrivere e contattare, telefonando o di persona, avvocati, vari operatori del carcere ed esterni. Vuol dire scrivere e contattare le famiglie, se ci sono, e riannodare a volte legami spezzati ... o avere per un disperato qualche notizia. I detenuti sono contenti anche di piccole cose, come “gocce” di amore disarmato e umile... Mi chiamano mamma e sorella, soprattutto i giovani.
La carcerazione è anche sofferenza per le famiglie: mamme, spose, fidanzate, padri, figli. Anche a loro vorrei dare piccoli “segni” di amore e di speranza. Ma non arrivo a tutto e a tutti. Servizio in carcere vuol dire collaborare e contattare altri operatori esterni, volontari, strutture ed enti. Vuol dire, soprattutto, collaborare ed essere unita coi volontari. A chi chiede a volte del carcere dico: «è l’inferno, è sempre più l’inferno» per certe situazioni che incontro.

C’è pure tanto di positivo
In carcere c’è pure tanto di positivo, di valido. Ci sono persone brave e impegnate, come operatori, come polizia penitenziaria, ai vari livelli. C’è solidarietà, rispetto, umanità, aiuto, sostegno e ricerca di “umanizzare” il carcere. C’è aiuto e rispetto dei detenuti tra loro, tra operatori e agenti e detenuti e tra loro e con noi volontari. Non tutto è facile e costruttivo; ci sono luci e non solo ombre. È la struttura-carcere che è mancante, che è carente, nonostante l’impegno di tanti.
Il carcere mi ha fatto e mi fa soffrire, perché è un impatto con realtà tragiche, col mistero del male e del cuore umano, con i grossi limiti della giustizia e della burocrazia, con l’indifferenza, l’ostilità e la paura della gente, che rimuove la realtà del carcere e si sente tutelata solo quando ci sono tanti “reclusi”.
Il carcere è la mia famiglia e comprende i detenuti, le loro famiglie, ma anche gli operatori, gli agenti di ogni ordine e grado, i volontari. È un po’ la mia casa. Questo mondo speciale, con tanti problemi, si può – un po’ almeno – umanizzare, se camminiamo insieme, se ci stimiamo e collaboriamo: amministrazione, operatori, polizia penitenziaria, enti, gruppi, mondo esterno, volontari, persone di buona volontà. È una realtà del territorio che ci interessa tutti. Sono persone da reinserire nella società, da accogliere e accompagnare quando escono dal carcere.
L’incontro col carcere mi ha dato molto, più di quanto, con semplicità e sincerità, ho dato. Perciò concludo con un grazie: a Dio e a quanti, dietro le sbarre e non già menzionati, “amici” a vario titolo: grazie a tutti!
Costruiamo insieme un ponte di amore e di speranza.

(Sr. Caterina Elsa Galfré (agosto 2011), su Testimoni 5 del 2012)