STORIE DI VITA - Mondo Voc agosto - settembre                                                  Torna al sommario

 

 

IN PERÙ AD AIUTARE I BAMBINI


I GIORNI DEL CIELO

La storia di Enrica

Parlare di santità è parlare della vita normale di un cristiano. Fatti ordinari, quotidiani che caratterizzano l’esistenza di ogni giorno, che può sembrare sempre uguale e priva di quella straordinarietà che farebbe subito parlare di sé. E così mi è venuta in mente Enrica, una ragazza di 26 anni nativa del trevigiano, laureata in pedagogia e attualmente impegnata in un servizio volontario sulle Ande peruviane.

 

di Michele Pignatale

 

sedia_a_rotelleL’esperienza familiare di Enrica

Quando le chiedo di raccontare la sua vita come modello di una semplice vita santa, si schernisce, rifiuta. Trattiamo e alla fine accetta solo di raccontare qualcosa, intimandomi di non usare termini roboanti ma di lasciare quello che dice nella semplicità di un racconto. La sento molto grintosa rispetto alla timida Enrica che conoscevo dei nostri incontri di spiritualità missionaria. Forgiata da un’esperienza familiare che fin da bambina ha lasciato il segno nella sua vita. La mamma è affetta da una grave malattia che la costringe su una sedia a rotelle. Il papà non si perde d’animo e fa in modo che la bambina cresca come tutte le altre.


“Non ho avuto particolari difficoltà ad accettare quella condizione così particolare – comincia a raccontare Enrica – perché sia mamma che papà non mi hanno mai fatto mancare il loro affetto e il loro aiuto. Il fatto che mamma fosse motorizzata non lo vedevo come un handicap per la mia vita. Devo dire che ho potuto fare tutto quello che le ragazze della mia età facevano, anche se al ritorno a casa dovevo assistere la mamma nei suoi bisogni, alleggerendo l’impegno di papà che si era fatto carico fino ad allora di tutto quello che necessitava alla condizione della mamma. Certo alcune rinunce le ho dovute fare, perché l’assistenza richiedeva un certo impegno ed una costante presenza. Ma l’ho fatto sempre con gioia e senza risentimento”.


gruppo_missionarioLa vita di Enrica scorre nella normalità delle cose da fare per aiutare la mamma e nello stesso tempo curare l’andamento della casa, lo studio e le sue relazioni amicali. Durante il penultimo anno del liceo la scomparsa del papà segna la vita di Enrica. Tutto è nelle sue mani ora. Non si scoraggia e va avanti. Si diploma, si iscrive all’università che frequenta per quello che è possibile, cerca di dare gli esami secondo il programma di studio, assiste la mamma, che intanto vede la sua salute diventare sempre più precaria e sempre più bisognosa di cure e di attenzione. Subito dopo il diploma comincia a frequentare un gruppo missionario, conosciuto tramite un volantino trovato in parrocchia. Partecipa ad alcuni incontri e ne rimane colpita, soprattutto per la gioia e la fraternità che vi si respira. Si immerge totalmente dentro a questa realtà, vivendone le sue finalità nella vita quotidiana. Si innamora della figura di Santa Teresina del Bambin Gesù. Legge più volte la sua biografia e cerca di incarnare quelli che sono le caratteristiche spirituali della giovane santa.


La conoscenza della figura di santa Teresina è stata per me un lampo di luce. Mi è servita per dare alla mia vita una svolta decisa nell’assumere dentro di me tutta quella sofferenza che mi circondava ma che rimaneva fine a se stessa. Ho cominciato a dare valore a quel disagio forte che portavo dentro e ho cominciato con gioia ad offrirlo, specie per tutti i missionari sparsi nel mondo. Sì, volevo sentirmi vicino ad ognuno di loro e potevo farlo solamente tramite la mia offerta che intanto si arricchiva del coma della mamma, durato più di un anno, e della sua salita in cielo. In quel giorno così triste, pur nel dispiacere di averla perduta, sentivo tanta gioia nel cuore per tutto quello che lei aveva saputo donarmi attraverso la sua vita fatta di sofferenza e di preghiera”.


volontaria_in_PerLa vita di Enrica continua sui binari della normalità. Si laurea come avevano desiderato i suoi e intanto matura il desiderio di un servizio volontario. Eppure la generazione di Enrira era stata etichettata come quella dai piedi d’argilla, bisognosa della sicurezza familiare, incapace di affrontare i problemi. Sembra che lei appartenga invece ad un’altra generazione e quando le faccio notare questo scoppia in una fragorosa risata. Lei non ha avuto il tempo di adagiarsi, è stata subito rapita dalla vita a cui ha dovuto rendere conto del suo tempo e dei suoi desideri. La provoco sul lato dell’affettività; le chiedo se abbia avuto un fidanzato o se senta il desiderio di averlo e molto candidamente mi risponde che il suo cuore, sin dalla nascita, è stato preso e messo da parte per qualcuno che poi scopre essere Gesù. Quella scoperta la riempie di una felicità senza fine e le fa sentire di far parte di quella famiglia grande del cielo. Il suo impegno con le comunità andine, e specie con i bambini peruviani, è costantemente rivolto ai problemi concreti della vita delle persone ma sempre con lo sguardo rivolto al cielo perché dice “la nostra vita per sempre è in cielo”. Mi stupisco delle sue parole, della sua saggezza e della sua coerenza. Veramente Dio prende possesso delle anime semplici e le nasconde alla sapienza di questo mondo perché continuino a costruire il regno su questa terra.

 


La scelta del Perù

Un’ultima provocazione la lancio sulla sua presenza in Perù. Le chiedo: perché?

Sono anni che sentiamo parlare della dignità dell’uomo, - ci dice Enrica - dell’eguaglianza e sotto i nostri occhi ogni giorno donne e uomini offesi nella loro identità muoiono di solitudine o di fame. Si scoprono a ripetizione dappertutto solchi di corruzione, di disonestà aperta o subdola, di arrivismi sfrontati o sottilmente mascherati. E ci manca la capacità di metterci in ascolto di coloro che sono ultimi, che vivono ai margini della storia, dimenticati e senza volto. Abbiamo bisogno di gente che si consumi perché la solidarietà nella famiglia, nelle città, nel mondo non sia vana. E come dice una famosa filosofa spagnola del novecento, Maria Zambiano, bisogna dar corpo all’idea di “una ragione materna” fecondante, quella che ha cura dell’essere dell’altro e che abbatte quella ragione calcolante che ha pervaso la modernità tesa ad esercitare una forma di controllo sulle cose, sulla natura e sugli altri. Ecco in Perù per dare forza alla ‘ragione materna’ per portare un pezzo di umanità purificata in Cielo”.

 

 

 

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