STORIE DI VITA - Mondo Voc marzo 2012                                                        Torna al sommario

 

 

 

Dall’Afghanistan al Congo infermiera per vocazione

 

Da otto anni Claudia fa missioni con organizzazioni non governative. È stata in Iraq, ad Haiti per il terremoto e in due Paesi dell’Africa.

 

infermiera_per_vocazioneEra in Iraq nel 2004 quando rapirono ed uccisero Quattrocchi. In Afghanistan nel 2006 quando i talebani presero in ostaggio il giornalista freelance Gabriele Torsello. Ed era ad Haiti nel 2010 a prestare soccorso alle popolazioni terremotate. Senza dimenticare le ultime missioni in Congo e Burundi ad aiutare la gente che da anni è preda delle guerre civili dimenticate. Claudia da 22 anni lavora in ospedale e da 15 è al pronto soccorso. Ma non è un’infermiera come tante. È una donna che da otto anni ha deciso di dedicare la sua vita agli altri, mettendo a rischio la propria. Una donna che non ha paura di affrontare l’ignoto e i Paese dove l’emergenza è quotidianità e dove l’oggi ha più valore del domani. All’età di 44 anni ha deciso di dare una svolta alla sua esistenza. Ha vissuto esperienze con la Croce Rossa, Emergency e Medici senza frontiere in Asia, Africa e ad Haiti. Nel cuore serba i profumi, i sapori, i volti di quelle terre lontane, che sanno farsi amare.

 

Cosa spinge una donna che ha un bel lavoro, una famiglia e che vive in un posto “tranquillo” a partire per luoghi a rischio, senza peraltro avere interessi economici?

Io adoro fare il mio lavoro, nonostante i problemi che possono esserci. E mi piace poter prestare la mia esperienza alla gente del posto che, purtroppo, non ha la possibilità di studiare e imparare. Il ruolo di infermiera, nei luoghi dove sono stata in missione, è fondamentale: è una questione di sopravvivenza. Lì non ci sono strutture all’avanguardia: quella gente non ha nulla. E quando torno in ospedale in Italia, mi sembra di stare nel Medical Center di New York, come nelle fiction televisive. Finora ho potuto permettermi di partire e stare fuori anche sei mesi alla volta. E poi devo ringraziare i miei familiari, che mi hanno appoggiato. Mia madre e i miei fratelli non condividono questa mia passione, ma non mi hanno mai ostacolato. Poi quando torno, ritrovare il loro affetto e anche il calore dei colleghi è bellissimo.

 

Si è mai trovata in situazioni di pericolo? 

infermieriSarà incoscienza, ma non ho mai avuto paura di nulla. Eppure in Iraq e in Afghanistan mi sono ritrovata ad operare in situazioni di conflitto, nel pieno dei bombardamenti. Ma quando lavori in quei posti, sei talmente concentrata sulla tua attività che quasi non ci fai più caso. È un cambiamento radicale di mentalità. In Afghanistan, in particolare, sono stata dal 2005 al 2008, in periodi semestrali. Lì il terreno è ancora disseminato di bombe: i “pappagalli verdi”. I bimbi li prendono, li mettono in tasca, ci giocano. Altre volte rubano gli ordigni per sfruttare i metalli. Il problema è che esplodono. E purtroppo ci sono tanti mutilati da soccorrere.

 

Qualche episodio? 

 È stato molto duro il lavoro in Afghanistan sui monti dell’Hindu Kush, al confine col Tagikistan. Lì, ai piedi dei rilievi, c’era solo il nostro punto di soccorso. Ma la gente per raggiungerlo doveva attraversare almeno due chilometri a piedi o sugli asini. Tante partorienti, e non solo, sono morte su quelle montagne.

 

Lei è stata in Afghanistan e Iraq durante i rapimenti di ostaggi italiani. Com’era la situazione in quei frangenti? 

L’aria era pesantissima. Noi volontari non militari in quelle terre siamo molto ben visti. La gente ci vuole bene. ma in quei momenti era tutto diverso: io mi sono trovata proprio nell’area dove avvenivano le trattative. E la popolazione locale era diventata diffidente: c’era tanto movimento di militari, polizia e politici. E la gente del posto mal tollerava quella situazione.

 

infermieri_2Come si è trovata a contatto con i locali? E come viene accolta una donna straniera nei Paesi islamici? 

Lavorare con i cittadini del posto è stata un’esperienza bella e molto formativa: la gente è affabile e disponibile, si rende conto che noi siamo lì per aiutarla e ne è felice. Non ho mai avuto problemi. Quanto alla figura della donna, io, come le altre infermiere, sono vista nel mio ruolo. Però in Afghanistan i primi tempi sono stata a disagio nel vedere la considerazione che gli uomini hanno delle donne. Non è facile spiegare, c’è una lunga tradizione dietro certi comportamenti. Semplificando, in base alla mia esperienza, posso dire che da bambine e da ragazze sono sottomesse: acquistano però “potere” quando si sposano e danno alla luce i primi figli. Ma una cosa va detta: spesso si sente dire che il valore della vita delle donne è inferiore, ma io ho visto padri piangere figli e figlie morti allo stesso modo.

 

Haiti e l’Africa, posti difficili. Cosa ricorda? 

Ad Haiti la situazione è terribile: la gente terremotata vive in tende sopra la spazzatura. Ed è arrabbiata: il mondo ha inviato dei soldi, mai arrivati. L’Africa merita un capitolo a parte: dal 2009 al 2011 sono stata in Burundi e Congo. Sono luoghi dimenticati dal mondo, dove le persone vivono in villaggi dove non c’è niente. Dove i bambini muoiono a ritmi impressionanti. Quando sono venuta via, c’erano state 4 epidemie: morbillo, poliomelite, malaria e colera. Io ho seguito il morbillo con vaccinazioni a tappeto: ma come finivi una zona, si infestava un’altra. Nessuno vuole sentirne parlare, tutti in occidente sono presi dai propri problemi legati al benessere.

 

Cosa le hanno lasciato queste missioni? 

Da ogni posto mi sono sempre portata via dei bimbi che non ce l’hanno fatta. Quando parti, hai in mente di poter realizzare tante cose, ma quello che fai è sempre meno di quello che ricevi. Molte cose te le insegnano loro, è gente che si affeziona. E i sorrisi dei bimbi non li dimentichi mai.

 

 

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