MEDIAEDUCATION - Mondo Voc giugno - luglio 2012                                              Torna al sommario

 

 

CRISI E SUICIDI. VERO AUMENTO O EFFETTO MEDIATICO?

 

Le bad news, la responsabilità dei media

e il dovere sociale
 

 

I giornali non si risparmiano ne’ risparmiano ai lettori le notizie peggiori che, copiose, occupano le pagine di molti quotidiani. Ma una informazione così fa bene al Paese in un momento già difficile e, soprattutto, è veritiera? Qual è il dovere della società di fronte a queste bad news?

 

di Novella Caterina

 

quotidianiTitoli funesti

Buone notizie non ce ne sono tra i titoli dei quotidiani dell’anno in corso, sul tema del lavoro. Gli inglesi sono soliti dire no news, good news, ma se le “news” ci sono, stando a questo adagio, allora saranno “bad”. E infatti. Un’analisi approssimativa sulle principali testate restituisce questi risultati: Impiccati nella fabbrica in crisi. Capo e un operaio uniti nel suicidio (26/05 Libero); Ancora un suicidio per la crisi. Un imprenditore si uccide in Piemonte (15/05 La Repubblica); Tasse, quindicenne salva il padre dal suicidio (8/05 La Repubblica); Trentadue suicidi nel 2012. Ora le vedove vanno in corteo (4/05 Libero). L’epidemia dei suicidi (29/04 L’Unità); Sempre più suicidi per il lavoro (18/04 La Padania); In tre anni un milione di giovani occupati in meno (8/04 Il Sole 24ore); Disoccupazione record tra i giovani (3/04 Il Sole 24ore); Under 30, persi altri 80mila posti (17/02 Il Sole 24ore).


Tanto basta per dedurre che il tenore dell’informazione è angoscioso. E la lista potrebbe essere allungata all’infinito perché di titoli che puntano i riflettori sull’agonia della forza lavoro ce ne sono a bizzeffe.

 

Ritorniamo così alle bed news. Perché quelle buone non sono notizie e le cattive sì? Sembra quasi che una notizia per essere divulgata debba seminare preoccupazione, sofferenza, afflizione. Sarebbe bello invece leggere qualche volta una storia a lieto fine, come quella di giovane insegnante precario (conoscente di chi scrive) che, rimasto senza prospettive nella scuola, ha iniziato a bussare con insistenza (e competenza da vendere) a tutte le aziende del suo ambito di laurea, riuscendo alla fine a trovare non uno, ma ben tre offerte concrete di lavoro.


bad_newsQuesto incoraggia, rasserena, ma vende poco. Desta più curiosità la catastrofe, per quella insana propensione dell’essere umano a cibarsi di tormenti. La catastrofe sbandierata sui giornali però fa anche qualcosa in più. Non si limita a suscitare attrazione e far vendere copie, crea effetti di amplificazione e contagio. Una sorta di competizione tra i giornali a chi ne sa una in più degli altri (…di catastrofe), una caccia all’ultimo caso da pubblicare in prima pagina. Qualcuno se n’è accorto e lo ha denunciato, anche se ad onor del vero non tutte le testate si sono accanite sull’argomento con titoli sensazionalistici. In un articolo dell’11 maggio, Avvenire pubblica un’intervista al sociologo Giancarlo Rovati, direttore del dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. “Basta luoghi comuni … I suicidi dovuti a cause esclusivamente economiche, negli ultimi anni, sono oscillati tra i 4 e il 6% (dei circa 2800 – 2900 annui) …il problema è che sempre più spesso vengono strumentalizzati per fare speculazione politica” (si veda anche, sul quotidiano online Europa del 10/05, l’articolo dal titolo Uso e abuso pubblico del suicidio). Allarme lanciato anche da un noto psichiatra, Paolo Crepet, che invitato a Pordenone a parlare agli imprenditori ha puntualizzato che si tratta di un “dato (quello sui suicidi negli ultimi mesi) prevedibile, basta vedere le statistiche del 1929” (22/04 Libero). Niente di nuovo sotto il sole insomma e neppure di così straordinario a detta loro. Si aggiunge al coro il sociologo Maurizio Barbaglia, che in un’intervista rilasciata al quotidiano Avvenire dal titolo Suicidi per crisi: più enfasi che vero aumento (12/05), dopo aver precisato che non c’è nesso causa/effetto tra i suicidi e la crisi economica aggiunge “ …i media sono convinti del contrario, stanno di fatto contribuendo a creare il fenomeno”. Con il rischio di effetti emulativi.

 

E però, se psicologi e sociologi sembrano concordare sul fatto che la crisi non c’entri, che non sia il fattore scatenante o il principale, è anche vero che il problema c’è, non può essere taciuto ne’ banalizzato; ed è un problema sociale, oltre che privato, e va raccontato perché se un piccolo imprenditore, con 10 famiglie da sfamare sulle spalle, si ritrova a dover pagare in media 23mila euro all’anno (stima della Camera di Commercio di Milano) per la tenuta dei libri contabili, la gestione dei rapporti di lavoro, le spese legate all’ambiente, gli oneri fiscali e gli adempimenti vari, a dover fronteggiare ingiunzioni di pagamento ed è creditore delle pubbliche amministrazioni per centinaia di milioni, allora il dramma non è solo il suo, ma di una società economica, produttiva e giuridica in cui qualcosa evidentemente non funziona bene. La crisi è fatta di “uomini, donne, vite, angosce, depressioni, speranze di una via d’uscita, delusioni, spaventi, gesti estremi …Mostrare gli uomini e le donne della crisi, oggi nascosti dietro i numeri, è anche quello un dovere sociale” (05/05 L’Unità – Quando il suicidio non è fatto privato).

 

 

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